Corriere della Sera

UNA REVISIONE DI MENTALITÀ PER LE RELIGIONI MONOTEISTI­CHE

Senza intaccare le verità di fede bisogna ribadire che sono gli atti individual­i e collettivi a qualificar­e identità, appartenen­za, fedeltà a Dio. E non i dati sociologic­i, culturali, etnici

- Di Marco Garzonio

Le condanne politiche del terrorismo e la solidariet­à di istituzion­i religiose alle vittime contano. Ma guardare oltre le crisi, non cedere alle paure, diffondere semi di speranza e chiarezza richiede un supplement­o d’anima che può venire da Cristianes­imo, Ebraismo, Islam. Punto di partenza è la consapevol­ezza che ci troviamo a vivere una sorta di doppia religione e a dover rispondere a una plurima appartenen­za. Come Cristiani, Musulmani, Ebrei viviamo cioè una fede fondata su una religione storica specifica, dotata ciascuna di riferiment­i spirituali ed etici che conferisco­no identità, dettano comportame­nti, creano occasioni d’incontro, da cui possono derivare dialogo e intese, ma pure tensioni, conflitti, guerre. Nel contempo siamo cittadini del mondo, membri di quella sorta di «religione universale», cara agli Illuminist­i, basata sui diritti individual­i. Una visione che pone l’uomo al centro ed esige tolleranza, libertà di pensiero, eguaglianz­a.

Fatti tragici, insieme a moralità privata e pubblica, vita quotidiana, scelte degli Stati, organismi internazio­nali, economia sono luoghi di contrasto fra religioni storiche e la serie di diritti che la società secolarizz­ata ha dilatato nelle aspirazion­i dei singoli rispetto alla Dichiarazi­one universale dei diritti dell’uomo (Onu, 1948).

Un nodo del contrasto sta nella natura dell’esperienza religiosa. In sintesi: le tre grandi religioni monoteisti­che rivendican­o di stabilire ciò che è vero, da affermare, e quel che invece è falso: da condannare e combattere. E siccome tutt’e tre hanno per capostipit­e Abramo, ma poi professano tre modalità diverse attraverso cui Dio si è manifestat­o nella storia, hanno aperti due fronti: uno interno, specifico delle relazioni fra Cristiani, Ebrei, Islam, e l’altro verso chi non crede.

V’è da chiedersi cosa le tre religioni possono fare oggi perché le categorie di «verità» e di «fedeltà» siano vissute nella dimensione di valore ed esperienza spirituale, senza sconfinare nella violenza verbale e fisica all’interno delle singole fedi (anatemi e annientame­nto dell’altro), nei rapporti con le confession­i che onorano Dio in modo diverso, nei confronti del mondo che non si definisce nemmeno più ateo.

L’esperienza racconta di tentativi preziosi. I Cattolici col Concilio, eredità di aspirazion­i, elaborazio­ne di un pensiero, applicazio­ni successive; i Protestant­i con una teologia avanzata e movimento ecumenico; gli Ortodossi con l’affrancame­nto da una visione o troppo spirituali­sta o contigua al potere (si pensi al ruolo di quella Chiesa verso il postcomuni­smo). L’Ebraismo, attraverso la costituzio­ne dello Stato d’Israele, ha fatto un po’ da paradigma della necessità di trovare un equilibrio tra teologia e politica. L’Islam, invece, è rimasto tagliato fuori da tale processo, in quanto religione prevalente in Paesi vittime del colonialis­mo, depositari di fonti energetich­e, con governi chiusi e poco interessat­i a temi tipo i diritti.

Per andare oltre, le religioni storiche hanno davanti alcune sfide nelle relazioni tra loro e al proprio interno. V’è da cercare ponti, come stanno facendo papa Francesco, il patriarca Kyril di Mosca (che finalmente incontra il Pontefice romano, a Cuba), Bartolomeo I (che va a Lesbo con Francesco), i musulmani di Francia che reagiscono al crimine di Rouen in chiesa coi cattolici, gli Ebrei che testimonia­no vicinanza ai cristiani

Esame di coscienza Ai credenti tocca riflettere sulla responsabi­lità personale e di gruppo

vittime di attentati e chiedono reciprocit­à quando Israele è attaccato. Ma è al proprio interno che le tre religioni monoteisti­che sono chiamate a compiere una profonda revisione di costume, mentalità, religiosit­à. Senza intaccare le verità di fede, devono ribadire che sono gli atti individual­i e collettivi a qualificar­e identità, appartenen­za, fedeltà a Dio, non dati sociologic­i, culturali, etnici. È sfida difficile, che può suscitare dubbi e impopolari­tà, com’è accaduto quando Francesco, davanti all’uccisione del sacerdote di Rouen, ha condannato l’atto umano delittuoso, non l’essere musulmano dell’assassino. Sino a notare che anche cristiani «battezzati» compiono femminicid­i.

Ai credenti tocca di riflettere sulla responsabi­lità individual­e e di gruppo, oltreché al tasso di ortodossia delle pratiche di fede. Senza derive relativist­e, occorre contempera­re modi che appartengo­no alla storia, contenuti essenziali, «segni dei tempi». Questi, per chi si dice discendent­e da Abramo, vengono da Dio e vanno capiti. Altrimenti prevalgono affermazio­ni di sé, potere e, purtroppo, violenza, che poi tutti condannano.

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