Delitto alle terme. Indaga un detective senza età
La prima cosa che colpisce sono i nomi: Mercedes, Cisalpina, Angiolino, Achillina. Appartengono a un altro tempo, eppure sono presenti con tutta la loro incongruenza. È ai nomi che Paola Rinaldi, nel suo romanzo d’esordio Sani da morire (Sperling & Kupfer) affida la gestione del tempo. Un «giallo»? Certo, ci sono cadaveri, indagini, investigatori e sospettati, eppure ha ritmo, digressioni e impennate da racconto umoristico. Un reportage divertito su una realtà che abbiamo sotto gli occhi e facciamo finta di non vedere, di cui sappiamo poco. Sani da morire si svolge a Chianciano, una delle località termali più famose d’Italia. Il luogo è la struttura stessa del racconto: qui si ritrova nella stagione calda una intera fascia di terza e quarta età alla ricerca di una villeggiatura (si usa ancora «villeggiatura»?) tra i benefici delle «acque» e l’ospitalità di una fitta rete di alberghi e pensioni. Una volta meta di lusso, oggi Chianciano è votata a una classe media colpita dalla crisi nelle risorse, non nelle aspettative. E cosa c’è di più normale e inaccettabile in una località popolata di vecchi, se non la morte?
Paola Rinaldi parte da qui, dalla necessità di fare uscire una bara da un hotel senza sconvolgere la clientela. E da questa tesse una trama fatta di decessi, pettegolezzi, ipotesi inquietanti e un’inchiesta, non a caso affidata a un investigatore senza età. Lo troviamo nella parabola discendente della sua carriera, «giovanissimo» per i suoi interlocutori cui rende minimo trent’anni, provato da un grave errore professionale, ma ancora incapace di sopire le emozioni. Fa tenerezza Angiolino e il lettore scoprirà quanto è facile innamorarsi della sua goffaggine e del suo stupore. Prende appunti il nostro poliziotto, continua a tormentare la sua inchiesta e a tormentarsi con un disincanto colto. Perché Chianciano sembra fatta apposta per nascondere la banalità. Basta guardare due personaggi, Mercedes e Cisalpina, due vecchiette felici di rompere la monotonia trasformandosi in detective.
La popolazione maschile sembra restituita dalla chimica e dalle pasticche a una vitalità perduta. Intorno a loro i giovani (ci sono, eccome) si travestono per non essere confusi e sembrano loro i veri «vecchi» della storia. E Chianciano rivela i segni di una sconfinata solitudine, un «parcheggio» dorato per vecchi che non sono affatto pronti per l’ospizio ma pesano su famiglie sempre più frenetiche e distanti. Che qui li lasciano a svuotare le cucine degli alberghi discutendo del menù.
Paola Rinaldi la conoscevamo come attrice con una carriera importante, Ofelia nel primo Amleto di Gabriele Lavia, con una notorietà esplosa interpretando per anni la cattiva di Un posto al sole, arriva tardi a questo esordio narrativo. E già il fatto che non abbia messo in fila gli aneddoti di una ricca vicenda professionale dovrebbe suscitare la nostra gratitudine. Ma lei fa di più. Sorridendo cerca di farci pensare.