«La Snam? Rende il 10% l’anno Dal 2018 esporteremo gas in Europa»
Alverà: un nuovo impianto di rigassificazione? Un progetto da valutare
Ha appena concluso un round di 70 incontri per spiegare agli investitori che hanno il 69% di Snam il piano industriale al 2020: «Sono fondi inglesi, americani, canadesi che gestiscono migliaia di miliardi. Una società che fa solo attività regolate è piaciuta». Marco Alverà, 40 anni, da tre mesi è amministratore delegato del numero uno europeo dei gasdotti e al mercato ha promesso di investire 4,3 miliardi in Italia per farne un pivot nella gestione dei flussi di gas in Europa. «La partecipazione dei fondi è sempre più attiva, come si è visto nelle ultime assemblee. Si ragiona anche sul possibile adeguamento dello statuto, che non è mai stato cambiato da quando Eni aveva il 52%».
La società non ha più alle spalle l’Eni e ora separa Italgas. Si può conciliare questo snellimento con ambizioni forti?
«Snam ha creato un ritorno del 500% per gli azionisti dalla quotazione. E adesso la decisione di staccare Italgas è stata presa proprio perché le ambizioni delle due società non erano più realizzabili assieme. Snam ha un piano da 4,3 miliardi che fanno della società uno dei maggiori investitori del Paese. Italgas da parte sua ne investirà 2, cui si aggiungono tra 1 e 1,5 miliardi per le nuove gare che stanno partendo. Tra queste, Torino e altri centri del Nord.
Che prospettive per gli investitori?
«Alle quotazioni attuali, il dividendo di Snam assicura un rendimento di circa il 5%, e nei prossimi due anni il dividendo è previsto in aumento del 2,5% all’anno, tutto coperto con i flussi di cassa. In più abbiamo una flessibilità che potremo usare per acquistare azioni proprie o per altri investimenti. L’utile netto è previsto in crescita del 5% medio all’anno, quindi il rendimento totale tra cash e crescita sarà circa del 10%».
Come investirete i 4,3 miliardi annunciati?
«Il piano servirà a finanziare per il 37% lo sviluppo con il completamento dei due reverse flow a nord, verso Tarvisio e Passo Gries, dello stoccaggio di Bordolano e la dorsale adriatica, più i 50 chilometri per collegarsi a Tap, che ci connetterà ai flussi dal Mar Caspio. Entro il 2018 saremo in grado di esportare gas stabilmente oltreconfine. Un altro 40% degli investimenti è in manutenzione e il resto andrà nelle migliorie sui punti di riconsegna e nella sostituzione di alcuni tratti della rete italiana. I consumi di gas sono previsti stabili e Snam vuole giocare a tutto campo, anche con utilizzi innovativi come l’auto a metano».
Intendete entrare nel settore dell’auto a gas?
«Penso che auto elettrica e a gas possano dare una mano alla salvaguardia dell’ambiente. Non entriamo direttamente in un settore con un rischio di prezzo, però possiamo collaborare con produttori e distributori: l’Italia sarà uno dei primi Paesi in Europa a recepire la Direttiva sullo sviluppo dei combustibili alternativi. Una famiglia può risparmiare 600 euro all’anno con un’auto a metano».
È noto che non vi dispiacerebbe l’idea di costruire un nuovo rigassificatore.
«Se ci fosse un progetto lo valuteremmo, in Italia e all’estero, ma a certe condizioni».
Quanto costerebbe?
«Tra 700 milioni e un miliardo. Ma l’investimento dovrebbe essere garantito, da una compagnia petrolifera o una utility, perché Snam non si assume il rischio prezzo. Nella Strategia energetica nazionale è previsto un nuovo rigassificatore e d’altronde il gnl estivo, che costa meno, va dove c’è lo stoccaggio. L’Italia possiede un vantaggio geografico e geologico decisivo per poter comprare gas a prezzo basso e quindi tagliare la bolletta. Poi c’è il tema sicurezza: l’anno scorso sono stati fatti gli stress test europei per valutare che cosa succederebbe sui mercati se venisse a mancare un fornitore di gas».
E il risultato?
«Noi sopravviveremmo. Molti Paesi, specie a Est, farebbero fatica, quindi bisogna portare capacità agli altri mercati».
Il gasdotto per collegare Francia e Spagna però non parte ancora.
«Circa 300 milioni di investimenti per il tratto Barcellona-Perpignan basterebbero per sbloccare tra 5 e 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno e aprire la direttrice Ovest-Est. Sarebbe la porta d’accesso del gnl in arrivo dalla Spagna verso la rete francese attraverso Tigf, la nostra partecipata. L’Energy Union potrebbe essere raggiunta al 70% con soli quattro progetti: il reverse flow, lo sblocco del Mid-Cat, l’interconnessione nell’Est Europa e il Tap».
Il Tap coinvolge anche la Turchia. Ci sono più rischi?
«Ne discuteremo qui da noi la prossima settimana con tutti i soci. Non siamo particolarmente preoccupati perché tutti i Paesi hanno interesse affinché il gas scorra».
Avete partecipato alla gara per Thyssengas, ora guardate ad asset in Austria.
«Il fondo che ha vinto ha pagato un prezzo importante. Noi non vogliamo riconoscere premi eccessivi. Però potremmo investire assieme ai fondi, apportando competenze».
Tra i soci di Cdp reti c’è la cinese State Grid. Progetti con loro?
«Non fanno il nostro mestiere ma in futuro potrebbero coinvestire con noi, non tanto direttamente, quanto come sistema Paese, oppure prospettare progetti sul loro mercato».
Tap e rischio turco Più rischi? Parleremo con i soci ma non siamo particolarmente preoccupati