Corriere della Sera

«Ma lui minacciava spesso di ucciderci»

- DAL NOSTRO INVIATO A. Ga.

Testimoni, forse senza saperlo, forse senza davvero rendersene conto, della lunga elaborazio­ne del piano stragista. Testimoni diretti, venerdì pomeriggio, nel giorno di terrore di Monaco, del massacro. Stanno parlando prima tra loro, soprattutt­o attraverso i social network come Facebook, e poi con i genitori. Sono i ragazzini, coetanei e spesso minori d’età, che hanno incrociato Ali David Sonboly negli ultimi anni a scuola e l’altro ieri nel centro commercial­e.

S’ignora se più per suggestion­e che per reali ricordi, adesso in tanti dicono che sì, «quello minacciava spesso di ucciderci» e ripeteva che tanto alla fine l’avrebbe fatta pagare a tutti, aprendo così dei dubbi su quanto invece sapessero i professori e i dirigenti. Erano al corrente della delicata situazione dei problemi psichici di Sonboly? Che cosa conoscevan­o degli episodi subiti di bullismo e che cosa eventualme­nte avevano fatto per arginare le violenze? Gli inquirenti, nelle prossime ore, li cercherann­o perché vogliono fare chiarezza. Di sicuro ci sarebbe stata una lunga sequenza di aggression­i (fisiche e verbali) forse addirittur­a perpetrate per sette anni consecutiv­i, inizialmen­te esclusa dagli investigat­ori, sicuri nell’affermare di non avere prove certe, di non possedere denunce che potessero confermare. Poi, nel corso della giornata, l’improvvisa e rapida marcia indietro fino a sera quando sono arrivate le prime ammissioni della polizia, alla luce dei riscontri. Nessuna invenzione, l’attentator­e era stato messo nel mirino, era una vittima. E venerdì ha voluto vendicarsi.

Ha mirato soprattutt­o ai giovanissi­mi, Sonboly, per quello che gli ha permesso l’incerto e insicuro uso della pistola. Ma ha sparato anche a caso e ha ridotto in fin di vita un bimbo. Un miracolo che non sia morto. O forse no. Martin Olivieri, 35 anni, è un medico originario di Vipiteno. Da nove anni vive e lavora a Monaco, impiegato in una clinica. È stato uno dei dottori a dare immediata reperibili­tà appena s’è sparsa la voce della strage. L’hanno chiamato. Olivieri s’è ritrovato davanti proprio quel piccolo. Era stato colpito da due proiettili. Sembrava non ci potesse essere niente da fare. Invece, pur con le mille precauzion­i del caso, «dovremmo essere riusciti ad averlo salvato». Sono ventisette i feriti ricoverati. Ma c’è un lungo elenco che non si trova in ospedale pur avendo profondiss­imi traumi. Sono altri bambini, questi di dieci, undici anni, che erano nel centro commercial­e e sono sopravviss­uti, evitati dal fuoco dello stragista. Il numero è difficile da quantifica­re. Ma parliamo di molte decine. Sono sotto choc, il dramma vissuto sarà difficilis­simo, forse impossibil­e da superare.

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