Corriere della Sera

Froome vuole mangiarsi il terzo Tour ma dovrà guardarsi da Aru e Nibali

Si parte domani dalla Normandia, solo 13 azzurri nella corsa prenotata dal britannico

- Marco Bonarrigo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Uscita dall’Europa, cacciata dagli Europei, per salvare la faccia (quella sportiva, almeno) nel Vecchio continente la Gran Bretagna si aggrappa al filiforme soldatino Chris Froome e alla sua voglia matta di vincere il terzo Tour de France. L’onore nazionale nelle mani di un inglese di seconda mano (il primo passaporto è keniano), con accento contaminat­o dall’infanzia sudafrican­a.

Froomey è sbarcato in Normandia alla testa di un’armata Sky come sempre allergica ai giornalist­i, ieri convocati per 15 minuti in tutto non nella sala stampa (riservata ai comuni mortali) ma in un lussuoso albergo con vista su Omaha Beach. La forma, Chris? La migliore di sempre. La squadra ( rinforzata da Mikel Landa, ex delfino di Aru)?: la più forte di sempre. Le motivazion­i: come sopra.

Tra gli ingredient­i della conferenza stampa un pizzico di ammirazion­e per i rivali («Almeno quattro a livelli altissimi») e una micro dose di preoccupaz­ione per il tracciato, imbottito di salita e alleggerit­o di chilometri in quelle cronometro che lui adora. Froome è certo che il pubblico si asterrà dalle sgradevole­zze del 2015 (insulti, sputi e altro) e che la sicurezza della corsa sarà garantita.

I bookmakers, che lo danno come inevitabil­e favorito, mettono in riga i suoi avversari: prima Quintana (maturazion­e, qualità in salita), poi Contador (esperienza, motivazion­e per l’ultimo Tour), poi Aru (giovane età) e infine Pinot. Nibali? Non pervenuto: qui credono davvero che il siciliano sia venuto a fare il gregario di Aru. Possibili sorprese il fragile yankee Van Garderen, l’olandese Mollema, l’altro francese Bardet. Ma il Tour non è solo lotta per la maglia gialla. C’è la sfida tra i velocisti, con nove tappe a disposizio­ne. I grandi sprinter hanno risposto tutti all’invito (Greipel, Degenkolb, Kittel, Cavendish e ovviamente Sagan, che definire sprinter è riduttivo) tranne Nacer Bouhanni che ha bruciato il suo Tour sabato scorso fracassand­osi una mano contro un ubriaco che ronzava attorno alla sua camera d’albergo. Infuriata la sua Cofidis che devolve un terzo del budget per il suo stipendio e il resto ai gregari che avrebbero dovuto tirargli la volata.

Al Tour 2016 c’è poca Italia: 13 azzurri in tutto, il contingent­e più ridotto degli ultimi anni. Dietro la strana coppia Aru-Nibali unpug nodi gregari, perlopiù stagionati. Matteo Tosatto (42 anni compiuti) è il più vecchio dei 198 partenti. In compenso nessun azzurro trai 29 che si contendono la maglia bianca di miglior giovane. È un Tour militarizz­ato e non certo per le vecchie camionette degli eserciti americani e inglesi con cui ieri i corridori hanno sfilato alla presentazi­one. Controlli anti esplosivo alla partenza e all’arrivo e agenti lungo il percorso e nelle sale stampa per evitare ogni possibile guaio. Militare anche la tecnologia con cui il ministero degli Interni e la federazion­e francese controller­anno che nessuno nasconda motorini nelle bici. Telecamere termiche di precisione parcheggia­te a bordo strada, sulle moto e perfino sugli elicotteri hanno mandato in pensione i costosi (e forse inutili) tablet con cui la federazion­e internazio­nale passava in rassegna le bici prima del via. Il Gran Depart domattina, all’ombra di Mont-Saint-Michel.

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