Una è tendenzialmente sovranazionale e l’altra eminentemente intergovernativa: sono permeabili e distinte, parallele e non conflittuali
diverse, conservi una struttura unitaria e si riconosca in un mantra politico condiviso. Ma qui sta il limite del ragionamento: è stato proprio Cameron, dichiarando anche per conto di altri che il mantra di una unione sempre più stretta vale per alcuni, ma non per tutti, a rendere esplicito che parlare di una unione ispirata al medesimo obiettivo di fondo non ha più senso.
È tempo di prendere atto che nell’Ue vi sono oggi due Europe: una volta all’integrazione politica («l’Europa di Altiero Spinelli»), ed una all’economia e al mercato («l’Europa di Margaret Thatcher»), nel quadro di un più ampio recinto definito dai principi fondamentali di libertà e democrazia («l’Europa di Coudenhove-Kalergi», dal nome di chi quasi un secolo fa immaginò una Unione Paneuropea di Stati). Una tendenzialmente sovranazionale e l’altra eminentemente intergovernativa; permeabili e distinte, parallele e non conflittuali. Una «Europa delle convergenze parallele» secondo la definizione di Aldo Moro, per sottolineare l’autonomia e la comune matrice ideale. Riconoscere una simile realtà significa porre il tema — spinoso — di una seria revisione dei trattati, ma pensare che dopo quello che è successo ciò sia evitabile appare a dir poco improbabile. Essa per contro rappresenta un importante elemento di semplificazione: muovendosi in autonomia le due Europe evitano le interferenze negative che inevitabilmente si pongono fra cerchi e gironi (basti pensare al difficile rapporto fra ins e outs nell’euro), e utilizzano al meglio le rispettive potenzialità.
L’«Europa di Margaret Thatcher» permette di gestire in maniera flessibile la crescita del mercato, assorbendo eccezioni e spinte separatiste e offrendo una alternativa a ulteriori exit nonché, in un futuro possibile, ponendo le basi per un riavvicinamento della Gran Bretagna. Ma va da sé che la partita di fondo del rilancio europeo si gioca intorno all’«Europa di Altiero Spinelli». Immigrazione e lavoro, moneta, sicurezza e difesa: intanto saranno possibili in quanto si riuscirà ad imprimere un deciso salto in avanti verso l’integrazione politica. A parte i «nuclei duri esistenti o immaginati» (quello dei diciannove dell’eurozona andrebbe messo urgentemente alla prova), il punto di snodo è quello dell’asse franco-tedesco — con l’aggiunta dell’Italia — e della sua capacità di rinunciare a tentazioni egemoniche per promuovere una vera gestione multilaterale delle politiche, che tenga conto delle esigenze degli altri. Un obiettivo difficile, di cui si vedono già le difficoltà, ma da cui dipende la possibilità per l’Europa di dire la sua nel mondo.
Le due Europe sono uno strumento efficace per restituire smalto all’Ue: mettono in chiaro le priorità e tolgono la scusa di incompatibilità e ritardi per evitare decisioni, come troppo spesso è avvenuto. Pongono con chiarezza le alternative: se l’Europa politica dovesse fallire, non per questo finirebbe l’Ue: ridotta alla sua sola dimensione di unione doganale con qualche orpello aggiunto sarebbe un’altra, e ben piccola Europa. a cura di