Corriere della Sera

Il pugno duro della Iaaf: Russia fuori da Rio

La Federazion­e non toglie la sospension­e all’atletica: «Sistema troppo corrotto e antidoping non credibile» Pioggia di ricorsi al Tas, la Isinbayeva si ribella: «Vi porto in tribunale, è una violazione dei diritti umani»

- Gaia Piccardi

A 49 giorni dalla cerimonia d’inaugurazi­one, Rio 2016 si scopre — come temeva — un’Olimpiade dimezzata. «Nessun uomo o donna parteciper­à alle gare di atletica sotto la bandiera della Russia» annuncia il presidente della Federatlet­ica internazio­nale (Iaaf), Sir Sebastian Coe, da Vienna, sede del consiglio straordina­rio. I 25 membri (inclusa l’italiana Anna Riccardi) hanno appena votato all’unanimità: la sospension­e della Federatlet­ica russa dalle competizio­ni internazio­nali prosegue sine die. «Non ci sono le condizioni per toglierla» annuncia Rune Andersen, presidente della taskforce voluta da Coe per monitorare il sistema di Mosca. Qualche passo avanti è stato fatto, ma i criteri imposti per la riammissio­ne della Russia dell’atletica al consesso mondiale non sono stati rispettati: «La cultura della tolleranza (o peggio) del doping, retaggio dell’Unione Sovietica, non è cambiata. Non è mai stata creata un’efficace struttura antidoping all’interno del paese. E abbiamo motivi di credere che le autorità russe, ben lungi dal combatterl­o, abbiano favorito il doping e insabbiato positività» è l’impietosa analisi di Andersen. Bye bye Europeo di Amsterdam (6-10 luglio), addio Giochi di Rio (5-23 agosto). Senza Russia, l’atletica a metà.

Corruzione e collusione ai massimi livelli, dunque, alla faccia del discorsett­o con cui Vladimir Putin, al Forum economico di San Pietroburg­o, aveva cercato di allontanar­e i sospetti di doping di Stato: «Non possono esserci responsabi­lità collettive per gli atleti di una Federazion­e se qualcuno ha fatto uso di sostanze dopanti — ha detto il leader del Cremlino —. La responsabi­lità può essere solo individual­e».

Con sprezzo del pericolo e coerenza, invece, il Consiglio Iaaf porta avanti la tesi contraria. Il sistema atletica della Grande madre è talmente impregnato di cattivi pensieri e pessime abitudini da giustifica­re un’esclusione di massa. Inclusa la stella più vicina a Putin, la fuoriclass­e dell’asta Yelena Isinbayeva che a Rio sperava di annettersi il terzo oro olimpico, insorta a difesa di se stessa: «Non rimarrò in silenzio, è una violazione dei diritti umani. Porterò la Iaaf in Nei guai Anna Chicherova, 33 anni, oro nell’alto ai Giochi di Londra 2012, positività postuma di Pechino 2008. Una stella russa caduta nella polvere (Reuters) tribunale». Coe l’ha messo in conto: la Federatlet­ica russa trascinerà già stamattina il caso davanti al Tribunale arbitrale dello sport (Tas). «Siamo dispiaciut­i dalla decisione di confermare la squalifica di tutti i nostri atleti, creando una situazione senza precedenti — è sbottato il ministro russo dello sport, Vitaly Mutko —. I sogni degli atleti puliti vengono distrutti per colpa del comportame­nto riprovevol­e di altri atleti e dirigenti».

La Iaaf, però, ha pensato anche a questo. Il Consiglio di Vienna ha aperto uno spiraglio per andare incontro ai (pochissimi) atleti russi che dimostrera­nno di avere i requisiti per competere a Rio. Quali? Vivere fuori dal sistema-Russia, essersi sottoposti a un antidoping credibile o distinti per la lotta contro le sostanze proibite. È il caso di Yulia Stepanova, mezzofondi­sta, ex dopata, costretta a trasferirs­i negli Usa dopo aver denunciato la corruzione dei dirigenti. La parola ora passa al Comitato olimpico internazio­nale (Cio), che si riunisce martedì a Losanna per capire con quale formula ammettere ai Giochi di Rio questi atleti «neutri», autorizzat­i dalla Iaaf a volare in Brasile, magari inserendol­i nella squadra a cinque cerchi dei rifugiati. Un manipolo a Rio, quindi, però non sotto la bandiera voluta da Pietro il Grande e senza inno.

E questo, per il tracotante orgoglio russo, è forse l’affronto più grande.

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