La musica cubana e i Rolling Stones «Con il rock finalmente si avvera un sogno proibito»
Meglio tardi che mai. Il concerto dei Rolling Stones all’Avana è un evento storico, ma per il mondo della cultura cubana è anche un momento per riflettere sulle contraddizioni del regime castrista che dopo aver dipinto per decenni la musica rock come simbolo della corruzione, ora ne celebra i massimi esponenti. «Durante la mia infanzia rock e jazz erano proibiti: erano la musica dell’imperialismo. Avevamo le radioline per ascoltare le stazioni di Miami — ricorda Omar Sosa, pianista jazz che ha lasciato Cuba a 28 anni e sta per pubblicare «Eros» con Fresu —. Mi sembra picaresco che l’ex nemico venga accolto come re del rock». C’è anche rabbia. «Per la mia generazione gli Stones arrivano con 40 anni di ritardo come tante altre cose di cui siamo stati privati quando ci spettava goderne. Siamo incazzati», spiega lo scrittore Leonardo Padura Fuentes, autore di Eretici (Bompiani). Lui ha 60 anni, ma il sentimento è lo stesso di un 45enne come Orlando Luis Pardo Lazo, scrittore e blogger dissidente. «Sono triste per la mia generazione: è tardi». Il concerto è anche l’occasione per una provocazione. Come quella di Gorki Águila, leader dei Porno para Ricardo, che ha mandato un appello a Jagger perché sia data libertà di suonare anche a chi ha canzoni anticastriste come la sua punk band. La musica cubana non è solo la tradizione del son, i ritmi afro-latini fusi nella forma canzone dai «vecchietti» del Buena Vista, da Compay Segundo a Ibrahim Ferrer. E nemmeno le grandi voci come Omara Portuondo e Celia Cruz o i Los Van Van che negli anni ‘70 portarono la tradizione verso arrangiamenti rock. Questa è l’immagine che è arrivata a noi. Oggi la voce critica è quella di rapper come Silvito El Libre o Esquadron Patriota. «Non ascoltiamo solo salsa e son — dice Pardo Lazo —, vogliamo avere il diritto di essere cosmopoliti».