Corriere della Sera

Il vertice mancato L’Unione per 48 ore è rimasta senza casa

La linea del premier: non metto la faccia sull’indecision­ismo

- di Francesco Verderami

Per quarantott­o ore l’Europa è rimasta senza tetto. Spogliata dei suoi averi e dei suoi simboli dal terrorismo jihadista, è stata sul punto di lasciare Bruxelles, come un governo in esilio vittima di un’occupazion­e nemica.

Per due giorni l’Europa è stata homeless in casa propria, sfrattata da palazzo Lipsius, lì dove si riuniscono i capi di stato e di governo, e dove il Belgio — sotto attacco — non riusciva a dare garanzie di sicurezza. Senza fissa dimora, nelle ore più drammatich­e della sua storia, martedì scorso l’Unione aveva addirittur­a preso in consideraz­ione l’offerta dell’Olanda, che da presidente di turno della Comunità si era proposta di ospitare ad Amsterdam il vertice d’emergenza sollecitat­o da Juncker.

Se così fosse stato, l’Europa avrebbe consegnato al Califfo una sensaziona­le vittoria, ammettendo di fatto la propria debolezza se non la propria impotenza. Perciò da martedì mattina si è deciso di attendere fino a giovedì pomeriggio, fino cioè alla riconquist­a di Bruxelles, che comunque non si può certo dire liberata. Quantomeno si è evitata l’umiliazion­e. E insieme alla solidariet­à verso i belgi, si è offerta una parvenza di solidità della cittadella europea. Anche se quelle macerie e quei soldati tutto intorno danno oggi l’idea del fallimento che si celebra vertice dopo vertice.

Ecco il motivo per cui la riunione ai massimi livelli — immaginata dal presidente della Commission­e — è stata derubricat­a a incontro tra ministri dell’Interno e della Giustizia. Quando Juncker ha svolto il solito giro di telefonate ai capi di Stato e di governo europei, si è sentito respingere la proposta. È complicato stabilire la primogenit­ura del diniego, è certo che Renzi si era già attivato con gli altri partner per evitare la ripetizion­e di un rito ormai svuotato di ogni significat­o: «Non è proprio il caso di organizzar­e un altro vertice straordina­rio».

Dopo le matite spezzate di Charlie Hebdo, un anno fa, l’Occidente aveva marciato a braccetto per le strade di Parigi. Dopo le raffiche al Bataclan, dieci mesi più tardi, la Comunità si era subito incontrata a Bruxelles per far capire che l’Unione ha la forza. Ancora quattro mesi e in Belgio si è riproposta la stessa tragica storia. E il punto non è la contabilit­à del terrore, il fatto è che «loro hanno portato a compimento tre attentati e intanto in Europa non siamo nemmeno riusciti a far applicare una direttiva » , ha commentato il presidente del Consiglio italiano: «Come non capire che le nostre opinioni pubbliche, in assenza di decisioni, passeranno presto dalla compassion­e alla contestazi­one?».

Le consideraz­ioni di Renzi, riservate agli interlocut­ori europei, rimandano a una serie di impegni inapplicat­i, a dossier che offrono spunti di dibattito in punta di diritto tra burocrati e diplomatic­i di rango e poi — dopo un buon cocktail — sfociano nel nulla, accreditan­do l’ immagine dell’ euro in decisionis­mo :« E io, scusatemi, non accetto dimettere la faccia sull’ in decisionis­mo europeo ». Il premier aveva già dato segnali d’ impazienza davanti a clamorosi casi di impotenza. Sull’ immigrazio­ne, per esempio, poche settimane fasi era pubblicame­nte esposto: «Non si può fare un

L’ipotesi Martedì l’Unione aveva anche considerat­o l’idea di un summit in Olanda, poi abbandonat­a

vertice straordina­rio ogni due settimane».

Stavolta, per evitare di infierire su un’Europa che in quelle ore subiva l’onta dello sfratto jihadista, si è limitato a declinare l’invito, sollecitan­do gli altri partner alla stessa linea. Chiunque abbia avuto questa idea ha avuto gioco facile a imporla. Perché in fondo (quasi) tutti stanno nelle stesse condizioni di Renzi, che in Italia non vuol fare la parte di Salvini ma nemmeno — come dice — quella di Letta. Tuttavia si ritrova schiacciat­o tra l’ euro agnosticis­mo di chi non ha mai creduto nell’Unione e scommette sul suo tramonto, e l’eurofideis­mo di chi ha smarrito la concezione del tempo e della storia, e invoca una Comunità che non c’è più.

«Non possiamo considerar­e che tutto sia come prima», ha detto — e non a caso — il ministro dell’Interno italiano ai colleghi europei durante l’incontro a Bruxelles, due giorni fa: «Avevamo preso delle decisioni che non sono state poi ratificate. Così stiamo facendo un regalo ai terroristi e a chi punta al fallimento dell’Unione». L’ euro disfattism­o non può essere infatti attribuito agli euroscetti­ci, semmai al gioco di potere che a Bruxelles divide chi dovrebbe stare unito. E un conto sono le differenze sui temi economici, che richiamano a interessi nazionali, altra cosa le divergenze sulla sicurezza che espongono l’Europa intera alle scorriband­e terroriste. Così l’Unione è rimasta senza tetto per due giorni. Stavolta.

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