Il vertice mancato L’Unione per 48 ore è rimasta senza casa
La linea del premier: non metto la faccia sull’indecisionismo
Per quarantotto ore l’Europa è rimasta senza tetto. Spogliata dei suoi averi e dei suoi simboli dal terrorismo jihadista, è stata sul punto di lasciare Bruxelles, come un governo in esilio vittima di un’occupazione nemica.
Per due giorni l’Europa è stata homeless in casa propria, sfrattata da palazzo Lipsius, lì dove si riuniscono i capi di stato e di governo, e dove il Belgio — sotto attacco — non riusciva a dare garanzie di sicurezza. Senza fissa dimora, nelle ore più drammatiche della sua storia, martedì scorso l’Unione aveva addirittura preso in considerazione l’offerta dell’Olanda, che da presidente di turno della Comunità si era proposta di ospitare ad Amsterdam il vertice d’emergenza sollecitato da Juncker.
Se così fosse stato, l’Europa avrebbe consegnato al Califfo una sensazionale vittoria, ammettendo di fatto la propria debolezza se non la propria impotenza. Perciò da martedì mattina si è deciso di attendere fino a giovedì pomeriggio, fino cioè alla riconquista di Bruxelles, che comunque non si può certo dire liberata. Quantomeno si è evitata l’umiliazione. E insieme alla solidarietà verso i belgi, si è offerta una parvenza di solidità della cittadella europea. Anche se quelle macerie e quei soldati tutto intorno danno oggi l’idea del fallimento che si celebra vertice dopo vertice.
Ecco il motivo per cui la riunione ai massimi livelli — immaginata dal presidente della Commissione — è stata derubricata a incontro tra ministri dell’Interno e della Giustizia. Quando Juncker ha svolto il solito giro di telefonate ai capi di Stato e di governo europei, si è sentito respingere la proposta. È complicato stabilire la primogenitura del diniego, è certo che Renzi si era già attivato con gli altri partner per evitare la ripetizione di un rito ormai svuotato di ogni significato: «Non è proprio il caso di organizzare un altro vertice straordinario».
Dopo le matite spezzate di Charlie Hebdo, un anno fa, l’Occidente aveva marciato a braccetto per le strade di Parigi. Dopo le raffiche al Bataclan, dieci mesi più tardi, la Comunità si era subito incontrata a Bruxelles per far capire che l’Unione ha la forza. Ancora quattro mesi e in Belgio si è riproposta la stessa tragica storia. E il punto non è la contabilità del terrore, il fatto è che «loro hanno portato a compimento tre attentati e intanto in Europa non siamo nemmeno riusciti a far applicare una direttiva » , ha commentato il presidente del Consiglio italiano: «Come non capire che le nostre opinioni pubbliche, in assenza di decisioni, passeranno presto dalla compassione alla contestazione?».
Le considerazioni di Renzi, riservate agli interlocutori europei, rimandano a una serie di impegni inapplicati, a dossier che offrono spunti di dibattito in punta di diritto tra burocrati e diplomatici di rango e poi — dopo un buon cocktail — sfociano nel nulla, accreditando l’ immagine dell’ euro in decisionismo :« E io, scusatemi, non accetto dimettere la faccia sull’ in decisionismo europeo ». Il premier aveva già dato segnali d’ impazienza davanti a clamorosi casi di impotenza. Sull’ immigrazione, per esempio, poche settimane fasi era pubblicamente esposto: «Non si può fare un
L’ipotesi Martedì l’Unione aveva anche considerato l’idea di un summit in Olanda, poi abbandonata
vertice straordinario ogni due settimane».
Stavolta, per evitare di infierire su un’Europa che in quelle ore subiva l’onta dello sfratto jihadista, si è limitato a declinare l’invito, sollecitando gli altri partner alla stessa linea. Chiunque abbia avuto questa idea ha avuto gioco facile a imporla. Perché in fondo (quasi) tutti stanno nelle stesse condizioni di Renzi, che in Italia non vuol fare la parte di Salvini ma nemmeno — come dice — quella di Letta. Tuttavia si ritrova schiacciato tra l’ euro agnosticismo di chi non ha mai creduto nell’Unione e scommette sul suo tramonto, e l’eurofideismo di chi ha smarrito la concezione del tempo e della storia, e invoca una Comunità che non c’è più.
«Non possiamo considerare che tutto sia come prima», ha detto — e non a caso — il ministro dell’Interno italiano ai colleghi europei durante l’incontro a Bruxelles, due giorni fa: «Avevamo preso delle decisioni che non sono state poi ratificate. Così stiamo facendo un regalo ai terroristi e a chi punta al fallimento dell’Unione». L’ euro disfattismo non può essere infatti attribuito agli euroscettici, semmai al gioco di potere che a Bruxelles divide chi dovrebbe stare unito. E un conto sono le differenze sui temi economici, che richiamano a interessi nazionali, altra cosa le divergenze sulla sicurezza che espongono l’Europa intera alle scorribande terroriste. Così l’Unione è rimasta senza tetto per due giorni. Stavolta.