Corriere della Sera

«Renzi non segua il populismo e dica la verità»

L’ex premier: «L’immigrazio­ne? La guida toccava all’Italia, se l’è presa Merkel»

- Di Monica Guerzoni

Non dico che Renzi sia populista e mi auguro di no, ma bisogna evitare di fare favori all’antieurope­ismo nostrano. Vedo che purtroppo l’economia europea e italiana si sono fermate... Serve una operazione verità». Lo dice in un’intervista al «Corriere» l’ex premier Enrico Letta.

NEW YORK Felice di trovarsi in mezzo a 1.800 studenti di tutto il mondo per aprire al Palazzo di Vetro il forum di Change the world, Enrico Letta non cela la sua preoccupaz­ione, per i destini dell’Europa e del suo partito. «Renzi deve assumersi l’onore di unire e non quello di cacciare un pezzo di Pd», avverte in vista della direzione nazionale di lunedì.

Come valuta l’accordo con la Turchia sui migranti?

«È un piccolo passo positivo, ma un disegno complessiv­o non c’è. Da europeista, io sono molto scettico perché rivedo il peggior film della crisi dell’euro del 2008. L’Europa ci ha messo quattro anni per costruire gli strumenti adatti per fronteggia­rla, quattro anni in cui è successo un disastro».

Si rischia il disastro anche sui rifugiati?

«Così come la crisi finanziari­a del 2008 fu la più violenta di sempre, quella dei rifugiati è la crisi più forte dal Dopoguerra. Come per l’euro, è arrivata all’improvviso e l’Europa si è trovata impreparat­a».

Colpa della Merkel, di Hollande, di Renzi?

«I leader hanno perso tre anni in trenta vertici e la risposta è inadeguata. Non basta mettere toppe sulle emergenze, bisogna mettere in campo strumenti europei, come lo furono il bazooka di Draghi e il fondo salva Stati».

Lei cosa propone?

«Il primo strumento è una vera polizia di frontiera europea, che gestisca tutte le frontiere esterne dell’Ue senza delegare a ogni Paese la sua. Urge anche mettere fine a questa specie di turismo dei sistemi di accoglienz­a, sono 28 tutti diversi e vanno armonizzat­i. Quando hai di fronte un milione di persone non puoi fronteggia­rle con gli strumenti che usavi quando erano 5 mila».

Intanto c’è chi soffia sul fuoco...

«I rapporti con i Paesi terzi puoi gestirli solo con la forza dell’Europa intera e lo dico ai vari Meloni, Salvini e Le Pen, che aizzano l’opinione pubblica vendendo una prospettiv­a di soluzione nazionale, con respingime­nti e chiusura di frontiere. C’è chi parla di temi che non conosce. Anche per questo abbiamo lanciato a Science Po, l’università che dirigo da quando mi sono dimesso dal Parlamento, un progetto per fare di Parigi il punto di riferiment­o della riflession­e su immigrazio­ne e soluzioni di lungo termine».

Le mosse di Renzi non la convincono?

«La leadership anche su questo tema se l’è presa la Merkel, quando invece tocca all’Italia indicare una soluzione europea. Dobbiamo stare attenti, perché se risolviamo il problema balcanico a scapito della rotta mediterran­ea, rischiamo di riaprire la rotta libica: un disastro per l’Italia. Non risolvere il problema europeo e riportarlo solo all’Italia rischia di essere l’effetto collateral­e di questo Consiglio Ue, che si limita a mettere il lucchetto alla rotta balcanica».

Condivide la frenata dell’Italia sull’intervento militare in Libia?

«Non ho gli elementi per sapere se ci sono le condizioni sul terreno, certo non si può lasciare la Libia in mano all’Isis. Nessuno di noi vuole la guerra. Ma l’interesse nazionale è evitare che la minaccia del Daesh sia a poche miglia dalle nostre coste, per cui il problema dobbiamo porcelo».

Bisogna essere tutti più responsabi­li Mi aspetto che chi guida si assuma l’onere dell’inclusione

La fiducia degli italiani nella Ue è al minimo storico e Renzi continua a mandare messaggi di rottura.

«È un cane che si morde la coda. Si vede nei sondaggi che l’Unione europea non è popolare e si gioca al capro espiatorio per prendere voti. Ma così l’Europa diventa ancor meno popolare. All’Italia serve una proposta costruttiv­a europeista, non una critica distruttiv­a antieurope­a. Così ci spariamo sui piedi e inoltre, quando si insegue il populismo, la gente sceglie l’originale non la copia».

Renzi è populista?

«Non dico questo e mi auguro di no, ma bisogna evitare di fare favori all’antieurope­ismo nostrano. Vedo che purtroppo l’economia europea e italiana si sono fermate... Serve una operazione verità. Le difficoltà vanno spiegate, non coperte».

Andrà alla direzione del Partito democratic­o lunedì?

«Ho lezione a Parigi».

Bersani e Speranza si richiamano all’Ulivo, D’Alema dice che il Pd è finito in mano a un gruppo di arroganti e sogna nuova forza di centrosini­stra...

«Guardo da lontano, con preoccupaz­ione e partecipaz­ione emotiva a questa crisi di valori, di comportame­nti e di prospettiv­e».

Nel Pd si vive da separati in casa.

«Spero prevalga la voglia di ognuno di salvare l’Ulivo e il Partito democratic­o, che sono la più grande novità positiva della politica italiana degli ultimi venti anni».

Ci sarà la scissione?

«Il rischio di una crisi insanabile dovrebbe portare tutti a essere più responsabi­li, a partire da chi ha l’onore della guida e che ha dunque una responsabi­lità in più».

Renzi?

«Mi aspetto che chi guida si assuma l’onere della inclusione e non l’onere del cacciare un pezzo di Pd».

Verdini? Renzi rivendica di aver fatto una scelta, il mio invece era un governo di eccezione nato senza alternativ­e Sul referendum dirò come la penso, ma non mi sento di criticare Renzi per aver investito su questo tema

Per Renzi le polemiche sulla condanna di Verdini sono strumental­i. Non si sente chiamato in causa?

«Trovo molto scorretto questo paragone. Non si può paragonare un governo di eccezione, nato perché non c’erano altre maggioranz­a possibili, con un governo di scelta come quello che Renzi rivendica sempre di essere».

Come voterà al referendum di ottobre?

«Premesso che il mio governo impostò il lavoro per il superament­o del bicamerali­smo, quando tutti i dati saranno chiari, dirò come la penso. Ma non mi sento di criticare Renzi per aver deciso di investire su questo tema. Lo stesso fece Berlusconi sul referendum del 2006, anche se poi lo perse».

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Chi è Enrico Letta, 49 anni, ex premier, dirige la Science Po, la scuola di Affari internazio­nali dell’Università di Parigi

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