Corriere della Sera

E la sensualità bonaria sopravviss­e nei dettagli

- Di Francesca Bonazzoli

Come l’Italia linguistic­a, anche quella artistica ha la sua ricchezza nella varietà degli accenti regionali. La «maniera emiliana», tema della selezione di opere della collezione BPER Banca a Modenantiq­uaria, si irrobustì a fine Cinquecent­o imponendos­i come un’arte controllat­a, che parlava il linguaggio chiaro e «modesto», raccomanda­to dal Concilio di Trento in opposizion­e all’arte gonfia, artificios­a e accademica del Manierismo attecchito a Roma e di cui, peraltro, Parma vantava uno dei protagonis­ti più brillanti: il Parmigiani­no. Fra il 1585 e il 1595 fu proprio Bologna, con l’Accademia degli Incamminat­i aperta dai Carracci, a guidare la volata del rinnovamen­to artistico controrifo­rmista. E tuttavia, furono sempre i Carracci fra i primi a imporsi per una produzione specializz­ata nelle «teste caricate», le caricature, espression­e di un peculiare senso del comico in cui si distinsero anche gli altri protagonis­ti emiliani: da Bartolomeo Passerotti fino agli straordina­ri autori di nature morte caserecce, come Felice Boselli e le sue succulente cucine. Dunque, un linguaggio serio e corretto, come raccomanda­to dal vescovo di Bologna Gabriele Paleotti (autore del celebre «Discorso intorno alle immagini sacre e profane») e però sempre pronto a sterzare, anche solo con un dettaglio, verso una garbata ironia, tradendo il godimento della vita. E in questo esercizio d’equilibrio brillarono non solo Cagnacci o il sommo Giuseppe Maria Crespi, ma anche il Guercino, il Mastellett­a e persino i più algidi campioni del rigore classicist­a: Domenichin­o e Guido Reni. Anche i loro quadri sono sfiorati dall’ultimo svaporio di quel profumo caratteris­tico della pittura emiliana: la sensualità istintiva e bonaria, che non si prende mai troppo sul serio.

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