Corriere della Sera

Posizioni

- DAL NOSTRO INVIATO

Martin Kobler, inviato Onu in Libia (nella foto durante il meeting a Monaco) sostiene il governo di unità nazionale non ancora insediato

Per Federica Mogherini, alto rappresent­ante per la politica estera dell’Ue fondamenta­le è l’arrivo degli aiuti in Siria

Per Sameh Hassan Shoukry, ministro degli Esteri egiziano la lotta all’Isis in Libia viene solo dopo un governo

Jean-Marc Ayrault, ministro degli Esteri francese, chiede l’insediamen­to immediato del governo in Libia. La Francia ha sottolinea­to il rischio di altri attacchi di Isis «peggiori di Parigi».

Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha chiesto il cambio delle regole di Dublino sui migranti

Il segretario di Stato Usa John Kerry ha esortato la Russia a non continuare a difendere Assad

Il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha definito la possibilit­à di tenuta del cessate il fuoco in Siria al 51 per cento

(Turchia) Dalla rivoluzion­e popolare per rovesciare la dittatura di Bashar Assad alla lotta partigiana contro l’occupazion­e della Siria da parte dei russi assieme all’Iran e alle milizie sciite.

Differisco­no per enfasi e dettagli le reazioni dell’opposizion­e siriana all’intensific­arsi delle operazioni militari russe delle ultime settimane, ma nella sostanza concordano su di un punto: la superiorit­à bellica degli avversari è divenuta tale che occorre passare dalla guerra aperta alla guerriglia; non più pretendere di controllar­e il territorio, bensì organizzar­si in cellule pronte a colpire e sparire tra una popolazion­e che in larga maggioranz­a resta ostile al regime di Damasco.

«Siamo stati abbandonat­i dai nostri alleati. Gli aiuti forniti dagli Stati Uniti, la Nato e in generale il fronte anti-Assad, sono irrisori rispetto al sostegno che Mosca, Teheran e le milizie sciite regionali garantisco­no alla dittatura criminale che domina a Damasco. È una situazione ben triste. Noi, che incarnavam­o le speranze per una Siria democratic­a, siamo stati accusati di simpatizza­re per Isis e il terrorismo jihadista. Vince la dittatura contro la democrazia e voi occidental­i ne siete complici. A parole l’Occidente e il mondo libero ci hanno incoraggia­to. Salvo alla prova dei fatti lasciarci soli. Oggi le poche armi e munizioni che arrivano ai nostri gruppi sono nulla rispetto a ciò che invia Mosca», sostiene il 50enne ex alto ufficiale dell’esercito siriano Abdul Jabbar Akidi incontrato ieri sera nel suo ufficio a Gaziantep. Una figura nota. Akidi era colonnello nelle prime fasi delle rivolte cinque anni fa, quando decise di disertare per unirsi a coloro che «volevano portare la libertà nel nostro Paese». Per due anni ha comandato con il grado di generale il nuovo Esercito Siriano Libero, sino al novembre 2013, quando si è dimesso «per protesta contro le troppe divisioni interne». Da allora resta però uno dei militanti più attivi e molto consultato degli esperti militari. «Ovvio che i nostri uomini non hanno la capacità di fronteggia­re sul campo i jet russi e neppure le addestrate e ben equipaggia­te formazioni di Guardie della Rivoluzion­e iraniana o di Hezbollah libanesi e sciiti iracheni. Però possono darsi alla macchia, colpire e dileguarsi. La stragrande maggioranz­a dei siriani è con noi. I russi e gli iraniani non potranno restare nel Paese per sempre. Dalla rivoluzion­e alla lotta di liberazion­e: faremo in modo di rendere la loro permanenza difficile. E alla fine Assad si rivelerà per quello che è: un burattino a capo di una struttura dissanguat­a, minoritari­a».

Quanto agli accordi sul cessate il fuoco appena faticosame­nte raggiunti a Monaco tra Stati Uniti e Russia, il giudizio di Akidi fa eco alle decine che abbiamo raccolto tra dirigenti e militanti dell’opposizion­e siriana rifugiati in Turchia: Abdul Jabbar Akidi, ex colonnello di Assad, ha disertato nel 2011. L’anno successivo è diventato comandante del Free Syrian Army, l’esercito siriano ribelle «non hanno alcun valore, sono morti sul nascere».

«Vale lo stesso principio che ha caratteriz­zato il recente fallimento dei colloqui di Ginevra e quelli di Vienna: non è possibile negoziare mentre i nostri nemici ne approfitta­no per attaccare ancora più duri. Ad Aleppo oltre 400 mila civili sono sotto assedio, a Homs più di 300 mila, oltre a decine di villaggi ridotti alla fame», risponde Mohammad Abu Mazen, 37enne avvocato che dirige i 1.250 combattent­i di una brigata operante a Homs. E aggiunge un’osservazio­ne preoccupat­a: «Noi siamo convinti che, dopo aver battuto nel sangue le nostre milizie del fronte moderato, i russi cominceran­no ad attaccare Isis. E ciò gli farà guadagnare consensi tra le opinioni pubbliche occidental­i. Ma toglierà ben poco al fatto che la maggioranz­a dei siriani non vuole più Assad. Noi continuere­mo a batterci». Le ultime cronache dal terreno confermano il proseguime­nto dell’offensiva a guida russa. La stretta attorno ad Aleppo si è fatta più aggressiva, con l’irruzione delle forze pro-iraniane in almeno tre villaggi nei settori settentrio­nali. L’esercito turco intanto ha fatto fuoco contro le milizie curde siriane, che avevano approfitta­to del caos per catturare i villaggi di Malkiyeh e Mannagh.

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