Abitare hi-tech
Smart City, 1.300 idee per le città del futuro Ma in Italia funzionano?
C’è il progetto che non è ancora partito e non si sa quando partirà, quello che attende lo sblocco dei fondi, quello di cui, quando chiami in Comune, nessuno sa nulla. Quello che funziona ed è pure interessante, ma poi non lo utilizza quasi nessuno perché è il fiore all’occhiello di un solo paese.
Oggi le smart city, in Italia, sono un insieme di puntini difficili da collegare e spesso anche da individuare. Secondo i dati (aggiornati al 20 gennaio 2016) dell’Anci, che alle «città intelligenti» italiane ha dedicato un Osservatorio ad hoc, ad oggi sono stati lanciati 1.308 progetti che coinvolgono 15 milioni di cittadini in 158 Comuni per un investimento totale di 3,7 miliardi di euro. I settori che contano più progetti sono quelli relativi alla mobilità, all’ambiente e alla partecipazione dei cittadini mentre il più finanziato risulta essere quello dedicato alla pianificazione e alla governance.
A scorrere la lista dei progetti, pubblicata in Rete sulla piattaforma dedicata dell’Anci, c’è di tutto: dai cassonetti intelligenti alle app per segnalare spazi verdi o luoghi da riqualificare, dal bike sharing ai servizi medici a domicilio, dal coworking ai fablab. Numeri e idee importanti, sulla carta. In pratica, però, molti dei progetti presenti sulla piattaforma portano o l’etichetta di «approvato e in attesa di avvio» o quella di «avviato e in sviluppo». Altri ancora si assomigliano o sono addirittura uguali, anche se sviluppati in luoghi diversi da enti differenti.
«La mappa italiana è ricca di eccellenze ma è frammentata e ancora a macchia di leopardo», conferma Gianni Dominici, direttore generale di Forum PA. Manca «la volontà di fare sistema e unire ai singoli progetti anche una visione di progetto paese-città». Purtroppo, ancora una volta, l’Italia appare divisa in due: grandi o piccole che siano, infatti, le città intelligenti più vicine ai cittadini e più vivibili stanno tutte al Centro-Nord. Milano, Bologna e Firenze sono in testa alla classifica generale City Rate 2015 (l’indagine annuale, realizzata da Forum PA con la collaborazione di Openpolis), seguite da Modena, Venezia, Parma, Reggio-Emilia, Trento, Padova e Trieste, che chiude la top ten. Bisogna invece arrivare al 43esimo posto per incontrare la prima città del Sud, Cagliari, seguita da Lecce (54esimo posto) e Matera (58esimo).
«Negli ultimi anni molte amministrazioni sono diventate particolarmente attente al tema, ma scontano un divario culturale e politico», sottolinea Dominici. Un esempio da seguire? Il direttore indica quello di Milano, che negli ultimi anni «ha saputo puntare su sharing economy e crowdfunding, trasformandoli in vere e proprie politiche dell’amministrazione e non in punti da campagna elettorale». Le tecnologie facilitano le relazioni ma da sole non fanno la differenza. Dominici conclude la sua analisi citando Barack Obama, «non possiamo pensare di governare il futuro e problemi sempre più complessi con strumenti vecchi e con una pubblica amministrazione ancora ferma al passato».
Etichettando negli ultimi anni con il termine «smart» oggetti e azioni che spesso di intelligente hanno ben poco, si è perso di vista l’obiettivo macro, ovvero l’adozione di politiche e strumenti (non solo tecnologici) che consentano di governare al meglio le nostre città facendo fronte a una complessità sempre crescente. Ora serve ripartire. «Non basta certo un lampione connesso a rendere una città intelligente. Governare la complessità di una grande città significa creare le condizioni affinché le energie civiche che la compongono non vengano disperse», analizza Paolo Testa, direttore dell’Osservatorio Nazionale Smart City dell’Anci. «A mancare è stata in primo luogo un’idea di città che vogliamo, immaginandone anche il futuro economico», aggiunge Testa.
La strada è quella di creare «una nuova interazione tra cittadini, pubblica amministrazione e imprese. Considerando il cittadino non solo un cliente dei servizi offerti, ma un portatore di idee e competenze. Insomma, mettendosi in ascolto dei suoi bisogni, come già avviene nel mondo anglosassone». L’Italia delle smart city, secondo l’Anci, è però tutt’altro che ferma al palo. «C’è molto di più di quello che ci diciamo nei convegni: dobbiamo lavorare su una standardizzazione delle tecnologie, su una qualità minima dei servizi e sulla definizione condivisa della domanda di servizi. L’importante è non muoversi solo sulla contingenza, ma avere una visione di insieme della città con una prospettiva di 5-10 anni, oltre il singolo mandato elettorale. Ricordando che la smart city è un’opportunità, anche per generare lavoro».
Le smart city, però, non bastano: il vero cambio di passo riguarda direttamente i cittadini. Anzi, gli «smart citizen». Che devono essere coinvolti per poter avviare azioni efficaci, come spiega Emanuele Della Valle, ricercatore specializzato in Big data e Analisi social al Politecnico di Milano. Gli strumenti a disposizioni delle «città intelligenti», infatti, servono anche a raccogliere grandi quantità di dati (i big data, appunto) che, una volta analizzati, possono aiutare gli enti locali a capire i bisogni dei cittadini e a trovare soluzioni concrete a problemi reali. In teoria un processo semplice, in pratica ci sono ancora molti ostacoli: «Di big data si parla molto ma non è facile né raccoglierli né saperli interpretare». I più semplici da ottenere, secondo lui, sono quelli relativi ai dati telefonici e alla Nord e Sud Resta profondo il divario tra Nord e Sud: in tutto sono coinvolti 15 milioni di cittadini mobilità, da abbinare al monitoraggio dei social network per capire l’utilizzo del territorio da parte dei cittadini. Ma è solo il primo passo, perché poi sia i cittadini che gli enti presenti (pubblici e privati) devono avere voce in capitolo per prendere insieme le decisioni che riguardano le nostre città. Attraverso consultazioni e sondaggi ma anche semplici segnalazioni. In-
somma, rendendo le smart city vere e proprie comunità in cui tutti, a partire dai semplici cittadini, sono chiamati ad intervenire.
In Europa e in Italia, conclude Della Valle, partiamo avvantaggiati: «È vero che in campo tecnico siamo indietro rispetto ad esperimenti di punta come se ne trovano in Asia, ma da noi l’attenzione per il coinvolgimento dei cittadini è sempre stata prioritaria. E, almeno per quanto riguarda le grandi città italiane, siamo all’avanguardia».