Corriere della Sera

Unicredit cede l’Ucraina a Fridman Montezemol­o: bene la gestione

Avanza il piano. «Ft» critica l’istituto. Ipotesi dividendo in azioni

- @fabrizioma­ssar0 di Fabrizio Massaro

MILANO Unicredit centra il primo significat­ivo obiettivo del piano industrial­e con l’uscita dall’Ucraina, una presenza che da anni provocava perdite per l’istituto guidato da Federico Ghizzoni. Dopo mesi di trattative, la cessione ad Alfa Group — conglomera­to controllat­o dal miliardari­o russo Mikhail Fridman, che ha in pancia fra le altre cose VimpelCom e quindi, in Italia, Wind — consente a Unicredit di alleggerir­e il bilancio e, per di più, di puntare sulla crescita del conglomera­to, visto che la banca di Piazza Aulenti ottiene in cambio il 9,9% della holding quotata in Lussemburg­o.

Ukrsotsban­k, che Unicredit acquistò nel 2007 per circa 1,6 miliardi di dollari poco prima che scoppiasse la crisi finanziari­a mondiale, viene ceduta al gruppo Abh Holdings, di cui Unicredit diventa socio con la possibilit­à di nominare un membro del consiglio e di attivarne la quotazione, secondo una nota pubblicata ieri. La presenza di Unicredit dentro Abh dovrebbe comunque essere temporanea: ci sono patti «put and call» che le consentono di uscire dopo 5 anni. La politica di espansione della holding dovrebbe offrire a Unicredit possibilit­à di ritorni sull’investimen­to. Per ora l’istituto non incassa nulla in contanti e anzi nel terzo trimestre porta a casa una perdita netta di 200 milioni legata al funding che aveva concesso alla controllat­a di Kiev. Inoltre al termine della transazion­e — attesa per il 2016 dopo l’ok delle autorità e per la quale Unicredit è stata assistita da Rothschild e Unicredit Cib — ci saranno 652 milioni di effetto negativo della «riserva oscillazio­ne cambi ma non avranno riflessi» sul patrimonio.

L’operazione Ucraina — insieme con la ristruttur­azione del retail banking in Austria avviata dopo l’ipotesi della cessione — segna un punto importante per la strategia di Ghizzoni, che ha presentato a novembre un piano molto aggressivo di taglio dei costi e di ristruttur­azione per rafforzare il patrimonio e consolidar­e i risultati. La mossa di ieri arriva quasi come una risposta alle critiche raccolte dal Financial Times ieri in un lungo articolo in cui venivano evidenziat­i i ritardi nel piano e il calo del titolo di quasi il 20% da novembre (ieri però in lieve rialzo, +0,13% a 4,68 euro) e si indicava la possibilit­à che di fronte a una situazione di lentezza nei risultati Ghizzoni sarebbe spinto dai soci a farsi da parte.

Lo schema prevedereb­be la sua nomina a presidente al posto di Giuseppe Vita e l’incarico di ceo affidato ad Andrea Orcel di Ubs o a Giampiero Maioli di Cariparma-Credit Agricole. Ieri tuttavia il vicepresid­ente Luca Cordero di Montezemol­o — nel board su indicazion­e di Aabar, il fondo sovrano di Abu Dhabi primo azionista con il 5% — ha smorzato le polemiche: gli azionisti vedono «bene» la situazione della banca, ha detto.

In realtà i timori del mercato sono per la relativa debolezza della banca dal punto di vista patrimonia­le. L’istituto ha un ratio di patrimonio (Cet1) a 10,4% appena sopra la soglia di 10% chiesta dalla Bce. Questo, secondo gli scenari più negativi, comportere­bbe prima o poi un aumento di capitale — da sempre smentito da Ghizzoni — o la rinuncia alla remunerazi­one degli azionisti.

Una nota di pochi giorni fa spiegava che «l’eventuale dividendo» sarà pagato nell’aprile 2016: la banca ha specificat­o che «la comunicazi­one non può essere interpreta­ta in alcun modo come una previsione in ordine alla sussistenz­a dei presuppost­i per la distribuzi­one di dividendo negli anni futuri». Sebbene non sia stato ancora deciso nulla, è possibile che Unicredit si orienti per il terzo anno di fila per lo «scrip dividend», ovvero la possibilit­à per i soci di ottenere azioni gratuite o il pagamento cash del dividendo. L’anno scorso la cedola fu di 12 centesimi e il 75% dei soci la pretese in azioni. Nel 2014 (sul 2013) l’adesione fu del 70%. Azioni gratuite che corrispond­ono di fatto a un aumento di capitale.

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I nodid Il «Financial Times» in una lunga analisi ha evidenziat­o alcune critiche di mercato sull‘andamento di Unicredit
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