LE TENSIONI CON L’EUROPA ACCENTUANO L’INCERTEZZA
Sarà da verificare giorno per giorno, ma la notizia di ieri secondo la quale la disoccupazione è scesa ai minimi degli ultimi tre anni, appare una boccata d’ossigeno: almeno per il governo. Si tratta sempre di frazioni percentuali, perché gli occupati sono cresciuti dello 0,2 per cento a novembre 2015. Chi non ha lavoro è l’11,3 per cento, vicino all’11,2 del 2012. Ma per Palazzo Chigi significa allontanare temporaneamente le critiche di chi, tra gli avversari, gli rimprovera di non avere rilanciato l’economia; e di non avere fermato il M5S di Beppe Grillo: i capisaldi dell’ascesa di Matteo Renzi premier, due anni fa.
Il presidente del Consiglio ha subito commentato che i dati ufficializzano la bontà della riforma del mercato del lavoro. «Il jobs act funziona», scolpisce. Ma siccome già in passato i risultati sono stati altalenanti, la cautela è d’obbligo. E non tanto perché dall’opposizione Forza Italia prevede una manovra correttiva entro primavera; e la Lega accusa Renzi di essere «complice di Angela Merkel», dipinta come «uno dei mali dell’Europa». L’incognita che sta prendendo corpo è, semmai, opposta.
Chiama in causa i rapporti tra l’Italia e l’Unione europea; e i possibili contraccolpi di una tensione con la Germania che Renzi non riesce a controllare. Si tratta di una increspatura che potrebbe diventare qualcosa di peggio, se non viene riassorbita rapidamente; e nella quale il governo di Roma ha molto da perdere. Intanto, si registra una contraddizione crescente tra il tentativo di accreditarsi come più influenti del passato a livello continentale, e le recriminazioni contro un’Europa che non ci rispetterebbe.
Lo dicono le risposte evasive ricevute in materia di immigrazione; la mancanza di coinvolgimento del governo Renzi nei vertici alleati più ristretti e operativi; e le punzecchiature che arrivano da Bruxelles per il modo strumentale, l’accusa è questa, in cui Palazzo Chigi userebbe sul piano interno le difficoltà in politica estera. Il terreno è molto scivoloso. La voglia di contare di più e di chiedere a voce alta ascolto e concessioni, raccoglie una freddezza evidente. Di colpo, le alleanze europee di Renzi e il peso del «ministro degli Esteri dell’Ue» Federica Mogherini, sembrano ridimensionati.
Non si capisce se siano i problemi italiani a condizionare l’approccio internazionale del governo, o viceversa. Il modo infastidito col quale ieri il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, ha liquidato le richieste di «flessibilità» italiane, suona preoccupante e alimenta l’offensiva delle opposizioni. L’Italia «ha chiesto varie flessibilità: per le riforme strutturali, per gli investimenti, per i migranti», ha detto Dijsselbloem. «Non si può esagerare». Se non è l’anticipo di un «no», gli somiglia molto.
I numeri I buoni dati sull’occupazione sono sovrastati dalle critiche dell’Eurogruppo che accusa l’Italia di esagerare sulla flessibilità