Corriere della Sera

Fuoco su un bus di turisti israeliani vicino alle piramidi

- Guido Olimpio

Nuovo colpo all’industria egiziana del turismo già messa in ginocchio dal terrorismo dell’Isis. Un gruppo di uomini armati ha aperto il fuoco ieri davanti a un hotel vicino alle piramidi di Giza, fuori dal Cairo, mentre turisti arabo-israeliani stavano per salire a bordo del bus che li aspettava di fronte all’ingresso. Qualche vetro rotto e nessun ferito, ma l’attacco ha seminato il panico. Dalla destituzio­ne del presidente Morsi nel luglio 2013, l’Egitto è alle prese con l’insurrezio­ne jihadista. segnalate sparatorie ed è possibile che qualcuno voglia vendicare la morte dell’ideologo.

Quadro reso ancora più complesso dalle minacce dei militanti vicino all’Isis e dei qaedisti. I seguaci dello Stato Islamico hanno promesso azioni per liberare i detenuti rinchiusi in un paio di prigioni, messaggio accompagna­to da nuovi appelli alla rivolta contro gli al Saud, ormai nemici dichiarati. In fermento anche gli eredi di bin Laden, molto presenti nella penisola. Tra i giustiziat­i con al Nimr c’era anche un loro ideologo, difficile che dimentichi­no.

Osservator­i sostengono che le autorità abbiano voluto mandare un messaggio duro ai nemici interni — sciiti o sunniti — tracciando una linea di demarcazio­ne netta. Altri pensano che eliminando al Nimr abbiano voluto placare gli ambienti salafiti per nulla contenti di iniziative contro lo Stato Islamico.

Quali che siano le origini c’è da capire sin dove i due avversari si spingerann­o. Interessan­ti le dichiarazi­oni all’Economist del principe Mohammad bin Salman, figlio del re e ministro della Difesa, un personaggi­o considerat­o tra i più interventi­sti: «Non prevedo che vi sarà una guerra con l’Iran, non permettere­mo che accada. Sarebbe una catastrofe per tutta la regione». Se lo augurano in tanti.

@guidoolimp­io

Appello La foto di un bambino diffusa online: sarebbe stata scattata a Madaya da attivisti che denunciano l’assedio della città siriana da parte del regime

da mesi per un accordo locale che, tra le altre cose, rimuovereb­be l’assedio dalle quattro città (forse anche con un’evacuazion­e, una sorta di «pulizia etnica» concordata). Ma la tregua è saltata e finora è stata possibile solo l’uscita dei miliziani feriti con le loro famiglie e, una volta, il 18 ottobre, l’arrivo contempora­neo di aiuti a Madaya, Zabadani, Fua e Kefraya. Ieri, dopo che i media hanno pubblicato le foto di Madaya, il governo siriano ha annunciato che lascerà arrivare nuovi aiuti a patto che giungano anche a Fua e Kefraya.

«Chiediamo al regime e all’opposizion­e di trovare una soluzione tenendo fuori i civili», ha detto al sito Al-Monitor Manal al-Abdullah, che nutre i figli con l’erba e le spezie cucinate nell’acqua: «Un pasto al giorno». Ma anche raccoglier­e l’erba costa caro: «Alcuni bambini sono finiti sulle mine».

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