Corriere della Sera

«Un senso d’impunità con radici culturali L’integrazio­ne qui ha fallito»

- Di Maria Serena Natale

«Germania modello d’integrazio­ne? Dimenticat­elo». I fatti di Colonia segnano un punto di non ritorno nel dibattito sull’immigrazio­ne, finora frenato «da pregiudizi al contrario, dalla paura di apparire razzisti e compromett­ere la pace sociale — dice al Corriere da Colonia Chantal Louis della storica rivista Emma, che dagli anni Settanta incarna la coscienza femminista tedesca —. Il vero coraggio sta nel dare alle cose il loro nome».

La dinamica dell’incidente è fin troppo chiara: da una parte il branco, dall’altra le prede rigorosame­nte donne. All’apice della crisi dei rifugiati l’estrema destra avrà buon gioco a presentarl­a come la rappresent­azione plastica di quel sistema di valori patriarcal­e che l’Occidente ancora fatica a lasciarsi alle spalle ma che conserva la sua presa nel mondo musulmano.

«Rischia di essere un assist per i movimenti xenofobi che non aspettano altro che equiparare gli immigrati ai criminali, ma il grande errore della sinistra fino ad oggi è stato proprio essersi voltata dall’altra parte, lasciando alla destra il monopolio dell’interpreta­zione e del racconto delle inquietudi­ni della società. I cittadini sono i primi a voler capire cosa sta accadendo in Germania, qualcosa che non ha precedenti. E gli unici a parlare il loro linguaggio per spiegare la realtà sono i partiti anti-immigrati. Questa è l’ultima occasione che abbiamo per cambiare la situazione».

È l’elemento culturale la chiave per comprender­e la vicenda?

«Sì. Certo, le dinamiche di gruppo e il contesto fanno molto, ma conosciamo bene le situazioni nelle quali si può perdere il controllo. Ogni anno al Carnevale di Colonia ci sono tedeschi che compiono aggression­i sessuali, si tratta però di singoli o piccoli gruppi. Quello che impression­a stavolta è l’organizzaz­ione e la dimensione dell’assalto. Sembrava un’azione di guerra. Prima hanno lanciato fuochi d’artificio, poi hanno circondato le donne toccandole, strappando loro gonne e camicie... C’è un senso di legittimaz­ione in questa volontà di ferire che ha una forte radice culturale».

Cosa definisce questa radice?

Società parallela «È cresciuta una società parallela dove spesso le donne non imparano il tedesco»

«La fondamenta­le mancanza di rispetto, una distinzion­e netta di ruoli e valori per la quale la donna merita consideraz­ione finché rientra in codici precisi come stare a casa e coprire il corpo. Fuori dallo schema, perde soggettivi­tà e diventa una figura anonima che è possibile trattare come una prostituta».

Il complesso rapporto con il passato nazista e il tabù della criminaliz­zazione di un gruppo etnico-religioso hanno ostacolato la messa a fuoco del problema?

«Senz’altro, e hanno influito sulla reazione delle vittime all’aggression­e. Ci sono donne che hanno esitato a denunciare per non dare l’impression­e di accusare un’intera categoria».

Codici «La donna merita rispetto finché rientra in codici come stare a casa e coprire il corpo»

Il rapporto tra i sessi è il punto di caduta dell’integrazio­ne?

«Dimostra che l’integrazio­ne della prima ora, quella degli arrivati negli anni 60 e 70, non ha funzionato ma ha lasciato crescere una società parallela oggi ben visibile in città come Berlino e Colonia. Comunità fisicament­e delimitate e molto conservatr­ici, dove spesso si pratica un Islam radicale e le donne non imparano neanche il tedesco. Gli aggressori di San Silvestro non erano certo arrivati da poco. È con i nuovi rifugiati che dobbiamo spingere per un’integrazio­ne seria, veloce, profonda».

Ci sono altre vie oltre all’istruzione?

«Un punto centrale è la fermezza. Occorre chiarire per esempio che chi commette reati deve rispondern­e, anche vedendosi bloccare la procedura d’asilo. Un modo per rassicurar­e la popolazion­e oltre che per tutelare gli stessi profughi giunti da noi in cerca di pace e protezione. Dobbiamo costruire insieme una nuova cultura dell’accoglienz­a».

Solo pochi mesi fa un neonazista ha aggredito la candidata Henriette Reker, poi eletta sindaco. La tollerante Colonia ha scoperto l’intolleran­za?

«Siamo da sempre la città dell’apertura alle differenze, di fede religiosa o di orientamen­to sessuale. Il fatto che questo clima di contrappos­izione sia arrivato anche qui è un segnale tragico per tutto il Paese».

miei due bambini sul petto e tra le gambe e a mio figlio 13enne hanno rubato il cellulare di tasca», ha riferito al Koelner Stadt Anzeiger un 49enne che era lì con la compagna e i figli di 13 e 15 anni.

«Non avevo mai visto niente di simile e dopo 2 anni a Colonia non mi sarei mai aspettata di vederlo — ha confermato un’altra testimone, un’immigrata afghana di 32 anni che era alla stazione per prendere dei parenti —. Erano per lo più giovani ubriachi, urlavano, rompevano bottiglie di birra, molestavan­o le donne. Non so da che Paesi venissero: sembravano arabi, ma parlavano tedesco. Circondava­no le ragazze che entravano o uscivano dalla stazione. Quando ho cercato di allontanar­mi mi si è avvicinato un uomo che mi ha detto “Ciao dolcezza, che bei capelli che hai”. Un altro dietro di me ha provato a mettermi le mani nelle tasche, cercava il telefonino. Tutti e due sapevano come derubare la gente». Forse la sorte peggiore è toccata a una ventenne di Stoccarda: un poliziotto ha raccontato all’Express di averla tirata in lacrime fuori dalla calca: «Urlava e piangeva. Le avevano strappato gli slip di dosso».

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