La paura di Londra e la pista che porta a Parigi
Dopo l’ok ai raid sale l’allarme. Contatti tra gli attacchi del 13 novembre e sospettati a Birmingham
I Tornado e Typhoon della Raf scaricano missili sull’Isis in Iraq e in Siria. E i jihadisti minacciano su Twitter: Londra dopo Parigi. «Nervi d’acciaio e molta pazienza», predica il premier David Cameron, che allunga la guerra negli anni: «La situazione non si risolverà in fretta». Lo stato d’animo della capitale britannica, due giorni fa, lo ha riassunto il Daily Mail con un titolo: ora le bombe, che cosa verrà dopo?
I tabloid a volte sanno interpretare il pensiero comune che in questo momento è uno solo: al di là della necessità di dare una risposta ai terroristi, sulle cui modalità vi è comunque una forte disparità di opinioni certificata dai sondaggi, ciò che preoccupa è l’assenza di una strategia internazionale capace di congelare i pericoli di folli ritorsioni. I livelli di allarme sono altissimi ma non di certo dalle ultime settimane. Londra è già stata colpita dagli attentati del 2005 e da allora numerosi assalti sono stati sventati grazie all’attività di prevenzione, almeno 4 nel 2015. Il Regno Unito convive con il fantasma dei terroristi da un decennio. Ha imparato a conviverci.
Per di più, secondo rivelazioni del Wall Street Journal, i servizi occidentali hanno trovato collegamenti tra gli autori delle stragi di Parigi del 13 novembre ed elementi individuati proprio nel Regno Unito, nell’area di Birmingham: qui risiederebbero sospetti di origine marocchina legati ad Abdelhamid Abaaoud, la mente degli attacchi in Francia. Premier Il britannico David Cameron, 49 anni ( Lapresse)
È chiaro che i fatti di Parigi e gli sviluppi che ne sono seguiti mettano Londra in cima alla lista degli obiettivi dell’Isis. Ma la città appare ferma nelle sue abitudini. La mozione approvata mercoledì dalla Camera dei Comuni e i bombardamenti in Siria hanno elevato i timori. Sono in molti a dare per scontato che prima o poi la ferocia dell’Isis si manifesterà nel Regno Unito. Lo temono i capi delle comunità musulmane contro i quali aumentano atti di intolleranza ma che stanno cooperando per identificare i focolai di jihadisti. E che hanno esplicitato il loro impegno nelle pubblicità firmate che campeggiano sui bus: «Uniti contro il terrorismo».