La via dei controlli per provare a salvare Schengen
Analizzati anche i profili sui social network del personale che lavora negli scali
Tredici anni fa l’Europa insorse per la decisione degli Stati Uniti di schedare i passeggeri aerei, all’indomani dell’Undici settembre. Tredici anni dopo, e dopo il proprio undici settembre, l’Europa rinnega se stessa per tentare di restare se stessa.
Il piano anti-terrorismo sui cieli europei si muove su tre fronti. Maggiori controlli negli scali per i viaggiatori. Verifiche su tutti i «nulla osta sicurezza» rilasciati ai dipendenti e agli addetti che si muovono nelle aree sensibili degli aeroporti. Uno scambio esteso delle informazioni sui passeggeri (il cosiddetto «Pnr»). «Ma senza fretta: gli Stati hanno tempo addirittura due anni per mettere in piedi l’infrastruttura per la gestione dei Pnr», fanno notare da Europol, l’agenzia della Ue istituita per la lotta al crimine.
Il primo fronte, quello dei controlli rafforzati in aeroporto, è stato intensificato dopo gli attacchi a Parigi il 13 novembre: oltre all’incremento delle forze dell’ordine negli scali, è aumentata la vigilanza anche nel controllo dei passeggeri ai varchi di sicurezza. Una mossa che ha rallentato le procedure e che ha spinto le autorità a invitare i viaggiatori ad arrivare un po’ prima del solito.
Il secondo fronte punta sulla revisione delle «security clearance», i nulla osta sicurezza rilasciati al personale aeroportuale. Diverse autorità stanno controllando passato e presente degli addetti, comprese le loro attività sui social network, per essere sicuri di non avere a che fare con persone che hanno contatti, diretti o indiretti, con foreign fighters o che mostrino «simpatia» per la Jihad. Questo spiega perché tra Parigi e Bruxelles sono già un’ottantina gli individui che hanno perso le autorizzazioni.
Il terzo fronte è quello della creazione del registro europeo dei dati dei passeggeri («Passenger name record»). Una piattaforma di cui si parla da anni, diventata un dossier nel 2007, sempre accettata nei principi generali, ma poi mai concretizzata. Nella sua versione di ieri (che non conta sulla partecipazione della Danimarca) il sistema prevede l’obbligo per le compagnie aeree di mettere a disposizione delle autorità l’identità di chi vola — nome, data di viaggio, itinerario, posto assegnato, bagagli, numeri di telefono, modalità di pagamento del biglietto — nei collegamenti tra un Paese terzo e uno Stato dell’Ue ma anche all’interno dell’Unione. «Nelle tratte comunitarie non è un obbligo, ma una “finestra” che dà la possibilità alle autorità di aggirare il trattato di Schengen per i voli ritenuti sensibili», ragionano da Bruxelles. I dati — che convergeranno nelle diverse «Unità informativa sui passeggeri» — saranno consultati «in chiaro» (ci saranno nome e cognome) per i primi sei mesi, poi saranno archiviati e resi disponibili in modalità «criptata» (comparirà un codice) per l’autorità giudiziaria per altri quattro anni e mezzo.
Ma è un sistema considerato poco agile. «Lo scambio dei dati passerà attraverso il Sis ( Sistema d’informazione Schengen), l’Sltd (piattaforma di Interpol sui passaporti rubati e smarriti), il «Pnr», l’Api (le informazioni anticipate sui passeggeri), l’agenzia Frontex, le diverse Uip (Unità di informazione sui passeggeri nazionali) e la nostra sezione “Travellers”», spiegano da Europol.
La stessa agenzia da mesi invita le autorità locali a controllare
Il programma Per realizzare il sistema di scambio di dati sui passeggeri, gli Stati hanno 2 anni di tempo
anche chi va in crociera, «soprattutto nei traghetti in partenza dall’Italia»: è diventato un modo per gli aspiranti jihadisti di andare in Siria «approfittando delle soste in Turchia». Quanto agli aerei, sempre Europol consiglia di monitorare i cittadini dell’Ue che volano verso Istanbul e Ankara dall’aeroporto di uno Stato diverso dal loro.
Secondo i dati forniti da Interpol, a oggi sono 5.800 i sospetti foreign fighters (da 52 Stati) registrati nel loro database. «Rispetto al 2014 — calcolano — c’è stato un incremento del 500%».