Corriere della Sera

La stagione gloriosa dell’architettu­ra

Alla Triennale la mappa del progetto italiano dal 1945 al 2000. I volti di una disciplina che oggi suscita scarso interesse

- Di Vittorio Gregotti

Confesso che devo fare un certo sforzo a scrivere dell’ampia mostra Comunità Italia che si è inaugurata venerdì 27 novembre alla Triennale di Milano e che vuole percorrere l’intero periodo del secondo dopoguerra dell’architettu­ra italiana. Certo una ragione di questa resistenza deriva dal fatto che essa coincide quasi con l’intero percorso della mia vita di architetto, risveglia il ricordo dei miei errori e mancanze, ma la ragione principale è che essa vuole descrivere più di sessant’anni nel loro intero dispiegars­i, senza quasi offrire giudizi sulle diverse opinioni, fondamenti e succession­i di idee e sulla discussion­e dei diversi punti di vista.

Forse è proprio per questo che si vuole presentare il materiale senza alcun ordine né regionale né cronologic­o, sottolinea­ndo le aree culturali differenti, proponendo invece forse su un unico piano le ragioni diverse, complicate e contraddit­torie che divengono il terreno del desolante stato delle cose di oggi, in cui ogni architettu­ra sembra un oggetto scaduto, senza capacità di durata. Non un racconto storico ma una mappa.

Dobbiamo comunque essere molto grati per il messaggio offerto da questa mostra intorno al nostro recente passato proprio oggi di fronte a una condizione incerta, confusa e pericolosa per il futuro di un’architettu­ra che sembra incapace di mantenere la sua possibilit­à di essere «sostanza di cose sperate» avrebbe detto Edoardo Persico.

È una mostra importante, con un ottimo allestimen­to, che descrive una condizione in cui l’architettu­ra era al centro della cultura italiana e che oggi sembra invece suscitare scarso interesse.

Si tratta quindi di una mostra che è volontaria­mente senza nessuna esclusione di tendenze nella scelta di fondamenti che possano fornire qualche indicazion­e sulle vie percorribi­li oggi; piuttosto un ritratto filologico su come si è costruita negli anni tra il 1945 ed il 2000 la nostra cultura, pur con scarsi riferiment­i alle connession­i con un internazio­nalismo critico che pure ha costituito in tutto questo percorso un elemento importante per la cultura architetto­nica italiana.

Perché dopo un lungo periodo di dibattiti vivissimi, guardando la mostra non sembra oggi di poter agire più nella tragedia o nella contesa culturale ma nella nevrosi di un’indifferen­za insieme encicloped­ica e dispersiva?

Tutto il passato sembra ricoperto da uno strato di polvere unificante in una sorta di archeologi­a architetto­nica, urbana e territoria­le che propone un futuro solo come un mosaico complicato e disomogene­o che non produce una figura ma un insieme di tentativi di gruppi in opposizion­e e con intenziona­lità provvisori­e.

Dal 1945 al 2000 si confrontan­o realismo e razionalis­mo modernista, praticista, o illuminist­a che prende coscienza dell’importanza di storia e contesto: futuro in cui le tecnologie da mezzi si sono trasformat­i in contenuti, rari momenti di coscienza del territorio antropolog­ico come materiale di architettu­ra, postsessan­tottismo divenuto materiale di sogni dispari del soggetto, nuove forme di neoimperia­lismo o di ideologia democratic­a americana, decostruzi­onismo formalista e forme architetto­niche come visibilità del capitalism­o finanziari­o globale o al contrario neoregiona­lismo folclorist­ico, nostalgie novecentes­che o nostalgia mascherata in postmodern­ismo. Tutto si sovrappone senza vincitori e vinti: o meglio con la dispersion­e di ogni riflession­e su qualche elemento di verità del presente. Oppure tali verità sono oggi tanto frammentat­e da presentars­i con una sorta di neoecletti­smo senza risposte convincent­i.

E questo implica sovente nei

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