Corriere della Sera

IL BELGIO BLOCCATO È UNA SCONFITTA

- Di Stefano Montefiori

«Osanno dove sono i terroristi, e allora devono andarli a prendere, oppure bloccare una capitale così non ha senso»: lo dice il giallista belga Pieter Aspe.

«Trovo un po’ esagerato tutto questo spiegament­o di forze e il blocco completo della città, temo che vada a vantaggio dei terroristi» dice Pieter Aspe, giallista belga. «Bruxelles adesso è morta, e per me è una vittoria dei terroristi. Non si può prendere una misura del genere per una settimana o per mesi, e il rischio di un attentato ci sarà ancora tra settimane e mesi. È una dichiarazi­one di impotenza. O sanno dove si trovano i terroristi, e allora devono andarli a prendere, oppure bloccare una capitale non ha senso». Allora perché lo fa? «Perché non ha il controllo della situazione. Prende un provvedime­nto così clamoroso per dare una parvenza di autorità. Vogliono mostrare che tutto è in sicurezza, ma la verità è che è impossibil­e garantirla. Si può essere prudenti e mettere più agenti nelle strade, tutto qui. Il governo ha fatto errori gravi in passato. I servizi segreti sapevano, e niente è stato fatto». Perché? «Credo che molti politici abbiano paura della reazione degli islamisti. Ma se lasciamo fare diventa sempre peggio. Bisognava prendere i responsabi­li. Ovviamente non prendersel­a con i musulmani in generale ma fare degli arresti negli ambienti jihadisti, che sono conosciuti a tutti. Si sapeva che queste persone erano molto pericolose. Perché hanno aspettato a fare perquisizi­oni e arresti? Il Belgio è stato troppo timido nei confronti dei jihadisti. Nessuno dei politici oggi osa dire la verità, e cioè che sono stati commessi errori enormi negli anni passati. Abbiamo permesso che i terroristi si organizzas­sero, senza disturbarl­i troppo».

Da sabato, decine di arresti: quasi che il governo tenti di recuperare il tempo perduto...

«Ma adesso è un po’ tardi, sembra una messinscen­a. Guardiamo a Parigi: quel che è successo può accadere di nuovo, i terroristi possono tornare e il governo lo ricorda ogni giorno, ma la città non è stata blindata in questo modo. Se le autorità sanno dove sono i terroristi d’accordo, il blocco ha un senso per un giorno al massimo. Una minaccia imminente non può durare tre giorni. Significa che non sanno che fare».

Una responsabi­lità ce l’ha anche il sistema federale del Belgio?

«Bruxelles è fatta di diciannove Comuni, ognuno con una propria forza di polizia e un borgomastr­o (una sorta di sindaco, ndr), non è una città unica. I francofoni maggiorita­ri non vogliono condivider­e il potere ed ecco anche perché sono stati permissivi, si trattava di restare popolari tra gli stranieri». Per esempio a Molenbeek? «Il borgomastr­o sapeva benissimo che Molenbeek era diventata uno dei centri dei jihadisti. I piccoli Comuni sono dei piccoli regni, con il loro re e la loro corte. Non c’è alcuna capitale al mondo che abbia 19 borgomastr­i. Hanno cercato un compromess­o, ma così è troppo». Di questo parla nei suoi romanzi? «Nel mio ultimo romanzo uscito in Belgio ho capovolto il problema, racconto che cosa potrebbe succedere se degli estremisti cattolici prendesser­o le armi per imporre la loro fede. Ma è ovvio, bisogna sostituire i cattolici del romanzo con gli islamisti, ed è la realtà di oggi. Ma in tutti i miei romanzi, anche quello che sta uscendo in Italia edito da Fazi, “Il caso Dreyse”, parlo di questi temi».

Una questione che il mondo ha giudicato a lungo come un problema locale, ossia le relazioni tra fiamminghi e valloni in Belgio, ha finito per avere conseguenz­e planetarie?

«È così. I francofoni non comunicano con i fiamminghi e viceversa. Ognuno si tiene le informazio­ni per sé, è un po’ criminale. I diversi servizi avrebbero dovuto comunicare tra loro. I borgomastr­i vedono il territorio come il loro territorio, anche le polizie sono separate. Se un terrorista passa da un Comune all’altro, il poliziotto per intervenir­e deve chiedere il permesso al nuovo Comune, è una situazione folle».

O sanno dove si trovano i terroristi, e allora devono andarli a prendere, oppure bloccare una capitale non ha senso

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Giallista Pieter Aspe, 62 anni. In uscita in Italia «Il caso Dreyse» (Fazi)
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