Corriere della Sera

Le tre minoranze e la sindrome da resa in direzione: «Ma stavolta...»

Dalle aperture di Cuperlo all’ostilità di D’Attorre

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Nazareno possa davvero segnare un momento di svolta per il Paese: e lo dico perché la mediazione studiata da Chiti, che mi risulta essere già stata sottoposta all’esame del governo, a me sembra eccellente...».

Su quella proposta può esserci un accordo?

«Assolutame­nte sì. La proposta di Chiti mi sembra contenga un ragionevol­e compromess­o». Ecco, appunto: Cuperlo si dichiara molto dialogante; e gli altri? I bersaniani?

Forse è opportuno sentire il senatore Miguel Gotor (okay, va bene: è il bersaniano più intervista­to, ma c’è un motivo. Il fatto è che ci sono moltissimi politici capaci di celare sentimenti, lacrime, sudore da panico. Gotor, no: Gotor fu arruolato da Pier Luigi Bersani per coprire il ruolo dell’intellettu­ale non organico, forse per fare persino il ministro della Cultura — studioso di santi, eretici e inquisitor­i, filologo di Aldo Moro, docente di Storia moderna all’università di Torino — ma non ha mai subito una reale mutazione genetica; è fondamenta­lmente rimasto un uomo di cultura che fa politica.

Critici

Da sinistra Gianni Cuperlo, 54 anni, Alfredo D’Attorre, 42 anni, Miguel Gotor, 44 anni, tutti della minoranza pd E questo lo rende autorevole, leale, credibile).

«Guardi, sì: è abbastanza vero che molte direzioni del partito hanno avuto vigilie tumultuose ed esiti a dir poco deludenti. Però io la invito a tener conto di un paio di fattori: primo, i numeri pesano e se sei minoranza, in direzione, minoranza alla fine resti. Secondo: consideri pure quell’elemento, in qualche modo condiziona­nte, chiamato “disciplina di partito”...». Quindi lei ritiene che... «No, aspetti... Detto tutto questo, credo sia giusto ricordare come, almeno su una grande questione come l’Italicum, noi abbiamo mantenuto alto e forte il nostro dissenso. Perché no, dico: a Palazzo Madama 24 senatori del Pd non votarono e alla Camera, quando fu imposta la fiducia, non votarono personaggi del calibro di Bersani, Epifani, Letta... e un giovane come Roberto Speranza non esitò, con straordina­rio senso di coerenza, a rinunciare al prestigios­o incarico di capogruppo».

Vero. E stavolta che in ballo

Prima e dopo Ogni vigilia, da mesi, è scandita da toni bruschi che si mutano poi in facce rassegnate

c’è la riforma del Senato?

«La nostra posizione è nota... Nel testo attuale è scritto: “I consigli regionali eleggono i senatori”. Ecco, noi chiediamo che siano i cittadini e non i consigli regionali ad eleggere i senatori: poi che i consigli regionali ratifichin­o pure, proclamino, o prendano atto della volontà popolare...». Non chiedete solo questo... «Se si riferisce alla richiesta di abbassare anche il numero dei deputati portandolo a 500, le do una notizia: non è una novità. Presentamm­o un emendament­o già nello scorso mese di luglio...». Com’è Gotor? Come sono i bersaniani? Diciamo che non sembrano disposti a cedere.

«Mah...» (D’Attorre, che ha finito la bresaola e sta al caffè).

«Cosa vuole che le dica: queste direzioni del partito trasmesse in streaming non sono più luoghi di confronto politico. Servono solo a Renzi per fare il suo show di un’ora. La verità è che l’impianto complessiv­o delle riforme renziane andrebbe abolito, perché è peggiorati­vo... ma abolirle non si può. Perciò proveremo a correggere qualcosina... magari a Palazzo Madama, certo non al Nazareno, con qualche senatore di buona volontà» (D’Attorre si laureò alla Normale di Pisa in Filosofia, con un dottorato in Filosofia e Scienze umane).

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