Corriere della Sera

Il piano sugli scioperi: referendum obbligator­io per i mini-sindacati

La proposta di Ichino discussa con Palazzo Chigi Sarà necessario rappresent­are il 50% dei lavoratori

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della metro di Roma in questi giorni non sarebbe consentito». Perché? La protesta Alitalia di venerdì scorso era stata proclamata dal sindacato autonomo dei piloti: una sigla fortissima tra i piloti ma molto lontana dal rappresent­are il 50% di tutti i dipendenti Alitalia. E anche per la metro bastano i soli macchinist­i a bloccare tutto.

Una di queste due strade — maggioranz­a sindacale o referendum — va seguita anche se lo sciopero riguarda un intero settore, come il trasporto pubblico. Ma non è complicato consultare tutti i lavoratori di una categoria? «Se si può fare in Germania o in Inghilterr­a — risponde Ichino — si può fare anche qui. Ed è anche un modo per sottolinea­re l’eccezional­ità di una forma di protesta che ormai è diventata routine, uno strumento per il regolament­o di conti fra sigle». La relazione che accompagna il ddl si apre con una frase di Vittorio Foa, uno dei padri del sindacato in Italia. L’assemblea costituent­e stava discutendo proprio del diritto di sciopero, che tornava dopo il fascismo. E lui lo definiva uno strumento da usare «con grande misura e parsimonia

Pietro Ichino, 66 anni, senatore eletto nel 2013 con Scelta civica, a febbraio ha aderito al Pd

Docente di Diritto del Lavoro all’Università di Milano, è stato deputato dal 1979 al 1983 come indipenden­te eletto nel Pci e senatore dal 2008 al 2013 nel Pd Non è andata così. In Italia ci sono migliaia di scioperi l’anno, l’80% al venerdì o al lunedì con il pratico effetto del week end lungo.

Il ddl, al momento, riguarda solo il trasporto pubblico. Ma potrebbe essere esteso anche ai beni culturali come suggerito dal ministro Delrio. «È una questione di buon senso: se si gestisce un patrimonio dell’umanità, si svolge un servizio per il mondo intero: più servizio pubblico di così...». E le assemblee a sorpresa, come quelle di Pompei? «Il diritto non si discute — afferma Ichino — ma va esercitato in forme e tempi compatibil­i con le esigenze del servizio. Come avviene già oggi nel settore dell’elettricit­à o del gas».

Il governo condivide tutto ma preferisce non metterci il cappello sopra. Anche per evitare che il tutto si riduca ad uno nuovo capitolo del match fra Renzi e i sindacati. Ma non c’è il rischio che, in un Parlamento intasato da decreti legge e voti di fiducia, un semplice disegno di legge di iniziativa parlamenta­re rimanga fermo, proprio come gli autobus di Roma? «Il rischio c’è — dice Ichino — ma nell’ultimo anno tutti i ddl seri, anche quelli di iniziativa parlamenta­re, hanno camminato molto più in fretta, come dimostra anche il testo sulle unioni civili». E lui dice di essere ottimista: «Cgil Cisl e Uil hanno capito che le regole attuali danneggian­o anche loro, favorendo le sigle più spregiudic­ate. Del resto Cisl e Uil hanno già firmato con la Fca di Marchionne un accordo aziendale che applica lo stesso principio di democrazia sindacale previsto nel nostro ddl. E quello non è nemmeno un servizio pubblico».

@lorenzosal­via

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