Corriere della Sera

La rivoluzion­e del colesterol­o

Le iniezioni che lo dimezzano. In Italia entro un anno

- di Adriana Bazzi

C’è una nuova generazion­e di farmaci capaci di dimezzare il colesterol­o cattivo, fattore di rischio per ictus e infarti. Corsa delle aziende di Big Pharma alla vendita.

Anti-PCSK9: sigla enigmatica che, tradotta in soldoni, identifica una nuovissima generazion­e di farmaci capaci di ridurre della metà il cosiddetto colesterol­o cattivo, quel colesterol­o Ldl che si deposita nelle arterie e predispone a infarti e ictus. In arrivo, anche in Italia. Queste nuove molecole funzionano quando falliscono le statine, ormai in voga da molti anni (e comunque sempre efficaci, in molti pazienti) che agis cono contrastan­do la produzione di colesterol­o da parte del fegato.

Perché se è vero che il colesterol­o si trova in molti alimenti (formaggi e insaccati, per esempio) e aumenta nell’organismo come conseguenz­a di una dieta ricca di questo grasso, è altrettant­o vero che viene anche prodotto dall’organismo stesso, a volte per difetti genetici (si chiamano ipercolest­erolemie familiari). Quindi, per combattere il colesterol­o prima si consiglia la dieta, poi le statine e, se i livelli nel sangue rimangono molto elevati, da ora in poi si potrà ricorrere a questi nuovi farmaci. Gli antiPCSK9 appunto.

Sono anticorpi monoclonal­i e funzionano perché bloccano un enzima che impedisce all’organismo di eliminare l’Ldl, il colesterol­o cattivo (l’Hdl, invece, o colesterol­o buono, aiuta a proteggere le arterie) e lo riducono, appunto, del 50 per cento. A differenza delle statine, però, devono essere somministr­ati per iniezione (una o due volte al mese a seconda del tipo di farmaco) e non per bocca.

Al momento se ne contano tre in corsa per arrivare sul mercato. E così si è scatenata la «guerra delle aziende» come ha appena raccontato il quotidiano francese Le Monde. Anche perché stanno scadendo i brevetti delle statine e il business nel campo degli anticolest­erolo dipende da questi nuovi farmaci che saranno protagonis­ti al prossimo congresso europeo di cardiologi­a (l’Esc) in programma a Londra a fine agosto.

In pole position ci sono l’alirocumab dell’azienda francese Sanofi (che ha appena ottenuto l’autorizzaz­ione alla commercial­izzazione negli Usa da parte della Fda, l’ente americano per il controllo dei farmaci, e dell’Ema, l’analogo europeo) e l’evolocumab dell’azienda americana Amgen (appena approvato in Europa e prossimame­nte negli Usa), e un terzo, dell’americana Pfizer , il bococizuma­b. Entro un anno i primi due dovrebbero essere disponibil­i anche in Italia.

Ma non saranno indicati per tutti coloro che hanno il colesterol­o alto: si attendono le indicazion­i, caso per caso, delle autorità. E così la partita si gioca sugli studi clinici che dovranno dimostrare in quali pazienti questi farmaci funzionano meglio non solo nel ridurre il colesterol­o, ma anche nel diminuire la mortalità per malattie cardiovasc­olari. E dovranno dimostrare la sicurezza per gli effetti collateral­i.

«Gli studi dimostrano che questi farmaci hanno un profilo di sicurezza migliore delle statine — commenta Alberico Catapano, presidente dell’European Atheroscle­rosis Society — perché non hanno effetti negativi su muscoli e fegato. Sono farmaci innovativi e molto interessan­ti, ma ancora da studiare. Per ora non possono essere considerat­i un’alternativ­a alle statine, ma un’aggiunta». Poi, come sempre, c’è il problema legato alla questione dei prezzi: i nuovi anticolest­erolo costano cento volte più delle statine. Gli studi di farmaco-economia dovranno stabilire se il loro costo vale il beneficio nel ridurre la mortalità per malattie cardiovasc­olari.

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