La bugia alla moglie sul coltello Asti, storia di un killer per caso
L’assassino della tabaccaia in cella: ho rovinato per sempre due famiglie
ASTI Una vita anonima, con le finestre di casa affacciate sulla tangenziale e i conti da fare per comprare anche un chilo di pane. Navigavano a vista, Pasqualino Folletto e sua moglie Silvana. Ogni giorno con lo stesso obiettivo: trovare il modo di sbarcare il lunario e, soprattutto, provare a far mancare il meno possibile ai loro tre bambini, la ragazzina più fragile (che ha 11 anni e una grave malattia rara che richiede molte cure e spese) e i due gemelli di sette anni (un maschietto e una femminuccia).
Adesso che all’orizzonte vedono soltanto buio, Pasqualino e Silvana, 46 anni a testa, forse sono più vicini l’uno all’altra di quanto lo fossero fino a due giorni fa, quando questo padre di famiglia magrissimo e dall’aspetto trasandato, ha confessato fra i singhiozzi che sì, è proprio lui il mostro che tutti hanno cercato per venti giorni, l’uomo misterioso che il 4 luglio ha ucciso a coltellate la tabaccaia-chef di Asti, Maria Luisa Fassi.
Magazziniere lui, casalinga lei. L’assassino e la moglie ignara. Lei che gli chiede qualche giorno fa: «Manca un coltello, quello grosso da cucina. Dove
Nel carcere Ho tolto una mamma ai suoi figli. Come avrei reagito se l’avessero fatto ai miei bambini?
sarà finito?» E lui: «Che ne so, l’avrai messo da qualche parte». Mai — nei venti giorni fra il delitto e l’arresto — che lui abbia mostrato a casa un segno di nervosismo in più, un comportamento diverso. Sempre uguale a se stesso: al lavoro nella ditta di autotrasporti per dodici ore al giorno, di pochissime parole con lei, amorevole con i bimbi, zero vizi e un solo amico.
Le tasche sempre vuote non aiutano a essere felici, ovvio. Eppure chi li conosce giura che la famiglia Folletto ci ha provato. Sempre. Che quei tre bambini non sono mai stati trascurati, che sono legatissimi ai genitori (specie a lui), che lui era un buon padre, lei una brava madre. Che anche davanti a mille difficoltà per coprire questa o quella spesa, e malgrado le micce per accendere tensioni fossero ovunque, Pasqualino e Silvana hanno saputo galleggiare sulla linea di una sopravvivenza dignitosa. Per garantirla ai bambini, prima che a loro stessi.
Venerdì sera prima di portarlo in carcere i carabinieri hanno concesso che Pasqualino incontrasse la moglie e i bambini. Pochi minuti e una scena straziante: un pianto inconsolabile e nemmeno una parola mentre abbracciava lei, sgomenta, e baciava i piccoli, felici di vederlo e inconsapevolmente crudeli nel chiedere « dove sei stato? » , «Perché torni a casa con noi?».
«Quella donna aveva due figli e io ho tolto per sempre una mamma a due ragazzi», ha detto lui in un passaggio dell’interrogatorio. «Chissà cosa sarebbe successo se avessero fatto questo a me, alla mia famiglia... non so come avrei reagito, non ho attenuanti». Non cerca comprensione per «una cosa così orribile che nemmeno io capisco»; ripete come un disco rotto: «Voglio sparire, voglio solo scomparire per sempre e pagare per quello che ho fatto, mi vergogno così tanto che vorrei sprofondare».
All’avvocatessa Silvia Merlino che ieri mattina è andata a trovarlo in carcere non ha detto granché: «Ha pianto tutti il tempo», racconta lei. Per se stesso nessuna richiesta di oggetti da portare o domanda su come affrontare i prossimi passaggi giudiziari, come fanno quasi sempre i detenuti appena arrivati in cella. I carabinieri in questi giorni hanno scavato nel suo passato, nelle sue amicizie, hanno controllato la rubrica del suo telefonino. Risultato: il nulla. Nessun eccesso, mai. Come si conviene a un anonimo perfetto.