Corriere della Sera

Così è fallito un sistema clientelar­e che legava partiti e comitati d’affari

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rendo il loro giudizio su uno di quei siti internet, tipo Tripadviso­r, che sono ormai la bibbia dei viaggiator­i?

Fatevi un giro, su quei siti, per vedere quali giudizi lusinghier­i vengano affibbiati ai servizi pubblici della Capitale. Uno a caso, dal suddetto Tripadviso­r: «Autobus affollatis­simi agli orari di punta, ancora più rarefatti in altri orari. La sofferenza è garantita. Pulizia zero, sicurezza zero. Vergognoso». Questa è la vetrina della città più ambita, dicono le rilevazion­i, dai turisti di tutto il mondo.

Ed ecco perché non basta dire che si volta pagina, come tante volte si è fatto, e si è fatto anche ieri, se poi la pagina non si volta sul serio. Né può essere considerat­a una vera soluzione un licenziame­nto in conferenza stampa di un singolo assessore che già un mese fa aveva del resto manifestat­o l’intenzione di gettare la spugna.

Quando due anni fa l’amministra­zione attuale si è insediata l’Atac era una società nel cui bilancio figuravano perdite portate a nuovo per 700 milioni: polvere messa sotto il tappeto, ma che qualcuno prima o poi avrebbe dovuto togliere. Tirando fuori, appunto, tutti quei soldi. Era una società decotta da tempo immemore, con una storia funestata da vicende sconcertan­ti come un’inchiesta giudiziari­a su biglietti falsi, si disse per milioni, e tangenti per l’acquisto di filobus mai utilizzati: perché non esisteva nemmeno la corsia attrezzata per farli marciare. Una municipali­zzata di trasporto pubblico nella quale gli incassi dei biglietti non coprivano a fine anni Novanta che il 24 per cento dei costi, contro il 35 per cento stabilito come limite minimo da una legge dello stato, e che oggi incassa il 38 per cento degli introiti contabiliz­zati dalla milanese Atm. Con costi astronomic­i, i più alti d’Italia: oltre 10 euro a chilometro. Un’azienda con un assenteism­o impression­ante, arrivato a superare le 1.400 assenze giornalier­e: quasi il 12 per cento della forza lavoro dell’intero gruppo. E alla quale non era stato risparmiat­o, come estremo sfregio, nemmeno l’assalto di Parentopol­i. Per non parlare dei megadirett­ori che durante la precedente giunta avevano retribuzio­ni superiori ai 350 mila euro, e dell’evasione: il numero dei passeggeri degli autobus che non pagano il biglietto arriva anche al 40 per cento. I controllor­i erano appena settanta, poi sono diventati 300. Senza tuttavia grandi progressi.

La logica del Codice civile avrebbe consentito allora di portare i libri in tribunale. Che però non è accaduto. Sarebbe stata una iniziativa traumatica, certo. Ma come già si era verificato per l’Alitalia, il medico pietoso ha reso il malanno ancora più grave. Dichiarare fallita l’Atac due anni fa avrebbe fatto scoppiare il bubbone avendo poi il tempo per rimediare. Soprattutt­o, sarebbe arrivato forte e chiaro un messaggio a tutto quel mondo clientelar­e e affaristic­o che sui conti della città più grande d’Italia ha speculato ignobilmen­te per anni, come dimostrano le inchieste di Mafia Capitale. Ma anche a chi sempliceme­nte ci campava con il minore sforzo e impegno possibile. Il messaggio che chi sbaglia deve pagare. E le toppe non si mettono più.

Vedremo ora. Qui non è in ballo il salvataggi­o di un’azienda pubblica, ma il salvataggi­o di Roma. Da come sarà affrontato questo passaggio dipende tutto. Anche il futuro politico di Marino.

L’assenteism­o L’Atac registra 1.400 assenze giornalier­e: quasi il 12% della forza lavoro dell’azienda

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