Corriere della Sera

Socio cinese per Mps e Unicredit La lista degli acquisti di Pechino

Da Telecom all’Eni, la mappa degli investimen­ti in Italia della People’s Bank of China

- Fabrizio Massaro

I cinesi non si fermano nel loro shopping a Piazza Affari. È di ieri mattina l’annuncio che la Banca centrale di Pechino, la People’s Bank of China (Pboc), ha superato il 2% dentro il capitale di Unicredit e del Monte dei Paschi. Il superament­o della soglia rilevante è avvenuto rispettiva­mente il 20 e 30 giugno, con il 2,005% nel colosso di piazza Aulenti e con il 2,010% nell’istituto senese reduce dall’aumento di capitale da 3 miliardi di euro servito per mettersi in linea con le prescrizio­ni della Bce sul patrimonio.

Ai prezzi di ieri — peraltro depressi dal crollo generale dei mercati per la crisi della Grecia con il Ftse Mib a-4% — la mossa di Pechino sui due titoli bancari vale poco più di 800 milioni di euro. Ma rappresent­a un balzo di ben il 20% in un colpo solo del totale degli investimen­ti della Banca centrale a Piazza Affari. Attualment­e il totale delle 12 partecipaz­ioni sulla Borsa italiana è di circa 5 miliardi di euro, ed era di poco più di 4 appena due settimane fa quando la Pboc annunciò di avere superato la soglia rilevante in Intesa Sanpaolo.

Complessiv­amente l’istituto centrale cinese ha partecipaz­ioni nelle principali società di Piazza Affari: l’elenco completo comprende anche Eni, Enel, Terna, Saipem, Prysmian, Telecom Italia, Fca, Generali e Mediobanca, tutte attorno al 2% (tranne Piazzetta Cuccia, in cui i cinesi si sono fermati all’1,98%). Non si tratta solo di una caccia al dividendo, che pure le partecipaz­ioni garantisco­no. In particolar­e per Mps l’appeal sembra essere più speculativ­o-strategico, visto che la banca senese non è previsto possa dare dividendi nell’immediato: ma la partecipaz­ione al risiko bancario e la prospettiv­a di un’integrazio­ne con un altro gruppo, magari straniero, possono essere di interesse per i cinesi. Non vanno dimenticat­e, infine, altre operazioni targate Cina, a cominciare dalla recente maxi-acquisizio­ne da due miliardi di euro messa a segno da State grid corporatio­n of China (Sgid), il colosso statale delle utility, del 35% di Cdp reti, a cui fanno capo proprio le due reti per la distribuzi­one di energia e gas, Terna e Snam, fino all’ingresso della Shangai Electric nel capitale di Ansaldo Energia col 35%. E sempre in Borsa — seppure destinato al suo possibile delisting — è l’investimen­to di ChemChina, che prenderà il controllo di Pirelli.

La strategia di puntare sui gioielli industrial­i e finanziari dell’Italia — forti di know how e di esperienze — da parte dei cinesi appare ormai consolidat­a da circa due anni, dopo la prima mossa in Eni nel 2011. In questo schema rientra anche lo sbarco a Milano, pochi giorni fa, della China Constructi­on Bank: l’obiettivo dichiarato di Pechino è prendere parte alla ripresa che è in atto nel Paese.

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