IN PUGLIA VA DI SCENA LA DEMOCRAZIA DELLA SAGRA
Il modo in cui Michele Emiliano ha scelto ieri i suoi assessori è stato paragonato a un talent show, una di quelle competizioni tra artisti in cui una giuria o il pubblico da casa sono chiamati a decidere il vincitore. Il paragone illustra bene il modo in cui il neogovernatore della Puglia ha voluto emulare certe iniziative attraverso le quali Beppe Grillo ha preteso di riportare in auge niente meno che la democrazia diretta. Per il M5S si è trattato in più occasioni di far votare in rete qualche migliaio di militanti; nel caso pugliese ci si è affidati al voto dei tremila partecipanti alle «Sagre», gli incontri pubblici in cui il governatore aveva definito nei mesi scorsi il suo programma. Sono stati questi tremila a scegliere gli assessori, entro una rosa proposta da Emiliano, e a quel che pare anche le loro deleghe. Ma non si vede cos’abbia di particolarmente democratico il fatto che uno sparuto gruppo di militanti (sparuto se paragonato, non dico a tutti gli elettori pugliesi, ma anche ai soli che hanno votato Pd) debba avere l’ultima parola sulla composizione del governo regionale. Per di più sono proprio queste procedure apparentemente democratiche che nel caso del Pd (si veda ciò che in varie regioni ha spesso rappresentato per quel partito l’esperienza delle primarie) rischiano d’essere il veicolo di manovre, pressioni, promesse attraverso le quali i candidati si industriano per procurarsi i voti necessari a vincere. Inoltre, c’è il fatto che una democrazia ha anche bisogno della chiara assunzione di responsabilità da parte del leader politico riguardo alle proprie scelte, incluse quelle dei collaboratori. Invece il governatore pugliese potrà sempre dire, di fronte alle critiche che in futuro dovessero eventualmente appuntarsi su questo o quell’assessore, che in fondo a sceglierlo non è stato lui ma il popolo, sia pure nella versione minimalista e caricaturale del «popolo delle sagre».