Corriere della Sera

HACKER E SPIE, MISTERO A MILANO

Fatture, email e rapporti con Stati «non democratic­i». Gli hacker mettono in Rete tutti i dati

- Di Cesare Giuzzi e Massimo Sideri

Una cyberstory che rischia di provocare un terremoto nelle agenzie di intelligen­ce. Violati gli archivi di una società di sicurezza informatic­a di Milano.

Le parole segrete scelte per proteggere i dati sensibili erano di una semplicità disarmante: «passwOrd1»; «passwOrd»; «HtpasswOrd». E anche il software che doveva rendere inviolabil­e l’archivio della società s’è rivelato assolutame­nte inadeguato. Tanto che i dati sono finiti direttamen­te in un file Torrent da 400 gigabyte a disposizio­ne di tutti gli smanettoni della Rete. Fatture, contratti, mail private e perfino i dati degli account PayPal, Facebook e Linkedin del fondatore Christian Pozzi.

Ma questo non è il resoconto di uno dei tanti attacchi hacker di Anonymous, piuttosto l’inizio di una cyberstory che rischia di provocare un terremoto nelle agenzie di intelligen­ce di mezzo mondo: dall’Egitto al Marocco, passando per Sudan, Cile, Messico, Azerbaigia­n, Kazakistan, Malesia, Corea del sud, Thailandia, Uzbekistan, Vietnam, Australia, Usa, Germania, Russia, Spagna, Svizzera e Arabia Saudita.

Perché gli archivi violati da misteriosi hacker (l’azione non è stata rivendicat­a) sono quelli della controvers­a società di sicurezza informatic­a «Hacking team» di Milano, già al centro dei dossier di Wikileaks e delle denunce di Human right watch per la collaboraz­ione con gli 007 di Azerbaigia­n, Etiopia, Nigeria e Sudan che avrebbero utilizzato i software elaborati da Ht per spiare giornalist­i e oppositori. Rapporti sempre smentiti dai responsabi­li dell’azienda (ex studenti del Politecnic­o con formazione negli Usa) che oggi sarebbero però confermati dai file diffusi in Rete. Il condiziona­le è necessario perché in questa storia i misteri superano le certezze. A cominciare dalla denuncia dell’attacco — che tra domenica e lunedì ha colpito anche il profilo Twitter della società — e smentito dalla stessa azienda. Il sospetto è che dietro la violazione non ci sia la mano di cyber-attivisti ma piuttosto quella di società concorrent­i. L’obiettivo? Spazzare dal mercato dei servizi per l’intelligen­ce l’ormai troppo chiacchier­ata «Hacking team».

La sede è in un discreto palazzo al civico 13 di via della Moscova, 50 metri dalla questura e dal comando dei carabinier­i di Milano. Fino a qualche tempo fa all’esterno del portone c’era una targa che segnalava la presenza dell’headquarte­r di Hacking team. La targa è stata imbrattata dai centri sociali dopo la diffusione delle prime notizie sulla collaboraz­ione con regimi totalitari e Paesi nel mirino delle Ong per i diritti umani.

I locali sono anonimi, ufficialme­nte chi lavora si occupa di sviluppo software. In principio (la società è stata fondata nel 2003) è stato il «Da Vinci», programma in grado di violare le memorie dei computer e inviare i dati ad un server esterno (500 mila sterline a licenza). Oggi si chiama «Remote control system» ed è una sorta di virus «trojan» capace di violare i sistemi degli smartphone.

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(foto Salerno) La sede Il palazzo milanese che ospita gli uffici di «Hacking Team»

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