L’errore di Sisi: la repressione alimenta l’estremismo
L’attentato di Luxor di ieri ricorda la stagione degli attacchi ai turisti nell’Egitto degli anni 90 del secolo scorso. Alla repressione di Mubarak seguì una stagione di sangue che culminò in un altro attentato a Luxor nel 1997, con 58 turisti stranieri uccisi. Ed era già una storia che si ripeteva. La repressione dei Fratelli Musulmani da parte di Nasser, le incarcerazioni e le torture tra 1960 e 1970 furono il campo di cultura e nascita di quel jihadismo che ha portato fino ad Al Qaeda. Sembra di rivedere la stessa situazione e, purtroppo, gli stessi errori. Al Sisi in Egitto sta ripercorrendo i passi di Mubarak e Nasser prima. Ha incarcerato i Fratelli Musulmani, plaudito alla condanna a morte di Morsi e annunciato una guerra senza quartiere, preparando le stesse condizioni che in passato hanno radicalizzato islamisti moderati e generato terrorismo e violenza. Sbaragliati politicamente, anche e soprattutto per i propri errori, i Fratelli Musulmani in Egitto ripiombano nell’occhio del ciclone e sono costretti alla clandestinità o al carcere. Tutto ciò mentre la penetrazione religiosa salafita, ben più insidiosa, ha campo libero e continuerà a produrre i frutti più velenosi. Ancora una volta, con la repressione dei più politici e «moderati» Fratelli Musulmani, si alimenta da un lato la retorica jihadista e terroristica e dall’altro il tradizionalismo apolitico più rigido finanziato dalle monarchie del Golfo. Insomma, il contrario di quello che il buon senso detterebbe. In tutto ciò l’Occidente si illude che sia meglio una parvenza di stabilità subito, anche a prezzo di diritti negati. Da qui il sostegno ad Al Sisi e una certa nostalgia per il passato cancellato dalle Primavere arabe, compresa l’indecente rivalutazione degli Assad in Siria che serpeggia tra Stati Uniti ed Europa. Così facendo, si sceglie il meno peggio che scoperchierà tra qualche anno realtà peggiori dell’instabilità di oggi. L’attentato sventato a Luxor è il primo sinistro presagio in quella direzione (cui si accompagnano segnali come l’arresto, ieri, di un addetto alla sicurezza dell’ambasciata Usa al Cairo, accusato di aver formato una cellula terroristica). Ed è un presagio che, con il sedicente califfato dell’Isis alle porte, è assai più minaccioso che in passato.