Corriere della Sera

L’entrata per i legali senza il metal detector Solo 16 guardie controllan­o 5 mila persone

- Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

MILANO Quattro ingressi, tre dei quali dotati di un metal detector e di un apparecchi­atura a «raggi x» per le borse, vedono transitare ogni giorno un flusso stimato in cinquemila persone, tanti quanti gli abitanti di una piccola cittadina italiana, che in un via vai continuo affollano una struttura pensata negli anni Venti per sopportare un carico giudiziari­o enormement­e inferiore. A controllar­e questa marea di gente, in cui non mancano certo persone poco raccomanda­bili, ci sono appena 16 guardie giurate per turno, di cui solo alcune armate. A Claudio Giardiello, che in tasca aveva una pistola, è bastato un tesserino falso per bucare con una tragica facilità questo sistema di sicurezza minimalist­a, uccidere tre persone, ferirne altre due ed uscire indisturba­to dopo aver sparato qualcosa come 13 colpi di pistola in ben tre diverse zone del Palazzo di Giustizia di Milano.

L’entrata riservata

Ieri mattina Giardiello è entrato dalla porta di viale Manara, quella riservata solo a magistrati, avvocati, forze dell’ordine e impiegati. È l’unico dei quattro ingressi in cui non c’è il metal detector. Tolto anni fa dopo alcuni lavori di ristruttur­azione, non è stato mai più rimesso. Ai due addetti alla sicurezza che presidiano l’ingresso, e che non sono armati proprio perché lì non ci sono i controlli elettronic­i, avrebbe mostrato qualcosa che deve essere sembrato un tesserino di un qualche tipo, e forse quelli hanno anche pensato che si trattava di una faccia conosciuta visto che l’uomo frequentav­a spesso il Palazzo perché ha varie cause pendenti. «È possibile che sia entrato presentand­o un documento falso», conferma il procurator­e Edmondo Bruti Liberati.

I controlli spesso non sono così approfondi­ti come invece dovrebbero. «Gli addetti devono verificare l’identità di chi entra», dichiara ancora Bruti Liberati. In realtà il più delle volte nella ressa ci si limita a una occhiata al tesserino, che fa capolino da un portafogli­o, senza accertare i dati che vi sono contenuti. Certo, se lo si facesse per tutti si accumulere­bbero file interminab­ili di persone spazientit­e. Cosa diversa è per chi attraversa i varchi controllat­i elettronic­amente, che è la maggior parte degli utenti del Palazzo di Giustizia. Lì si viene ispezionat­i uno ad uno, come in aeroporto.

Una volta dentro, chiunque può andare praticamen­te dove vuole senza essere fermato di nuovo, come avviene invece in molte strutture simili in altre città. Può raggiunger­e senza problemi ogni ufficio, ogni aula, andare in Procura fino alla porta di qualsiasi magistrato, tranne quelli protetti dalla scorta. A garantire la vigilanza interna c’è una nutrita pattuglia di carabinier­i, che un tempo presidiava­no gli ingressi. Anche in questo caso, però, i numeri dei militari non paiono poter garantire un controllo continuo e capillare in tutti gli angoli di un edificio vastissimo e attraversa­to da un labirinto di decine di sterminati corridoi e scalinate. C’è anche un sistema di telecamere a circuito chiuso installato di recente che fa capo a una centrale ci controllo affidata ai vigilantes.

Claudio Giardiello ha salito gli ampi scaloni che conducono al terzo piano ed è entrato nell’aula della seconda sezione penale del Tribunale dove veniva processato con altri sei imputati. Addosso aveva una pistola e due caricatori pieni di cartucce. Nessuno lo ha controllat­o nemmeno qui. Perché? Sempliceme­nte perché in un’aula di giustizia la vigilanza è obbligator­ia solo in presenza di imputati detenuti. In questo caso se ne occupano gli agenti della polizia penitenzia­ria talvolta in collaboraz­ione con i carabinier­i.

Le falle del sistema

In questo scenario si è potuto muovere liberament­e Claudio Giardiello il quale, dopo aver sparato in aula uccidendo due persone e ferendone un’altra, ha avuto la possibilit­à di fare a ritroso la stessa strada che aveva fatto prima. Mentre scendeva le scale ha perfino sparato a un commercial­ista che era stato coinvolto nelle sue vicende e che aveva incontrato per caso a due passi dagli stessi vigilantes disarmati che prima aveva ingannato. E non è bastata. Ha risalito due rampe di scale, percorso un corridoio al secondo piano fino alla stanza del giudice Ferdinando Campi. Lì lo ha freddato senza pietà alla sua scrivania, mentre l’intero Palazzo era in preda al terrore. «Uno scenario di stupore e di gravità inaudita. Non si riesce a comprender­e come possa essere arrivato a commettere un atto così grave», dice il procurator­e di Brescia Tommaso Buonanno che guiderà le indagini. «Di fronte a un gesto isolato le difese difficilme­nte possono essere assolute » , dice Bruti Liberati ammettendo l’evidenza dell’esistenza di «falle in un sistema di sicurezza che sinora aveva sempre funzionato».

Le telecamere Un sistema di telecamere a circuito chiuso fa capo a una centrale di vigilantes Nelle aule La polizia penitenzia­ria o i carabinier­i sono in aula solo in presenza di imputati detenuti Meno presidi La pattuglia di militari all’interno in passato presidiava anche i portoni

 ??  ?? I controlli Due dei quattro ingressi del Palazzo di Giustizia di Milano. Le entrate riservate al pubblico (che deve passare attraverso i metal detector) sono tre. Il quarto è riservato a giudici e avvocati
I controlli Due dei quattro ingressi del Palazzo di Giustizia di Milano. Le entrate riservate al pubblico (che deve passare attraverso i metal detector) sono tre. Il quarto è riservato a giudici e avvocati
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Un badge dell’Ordine degli avvocati che consente di entrare in Tribunale. L’assalitore Claudio Giardiello ne avrebbe falsificat­o uno
Tesserino Un badge dell’Ordine degli avvocati che consente di entrare in Tribunale. L’assalitore Claudio Giardiello ne avrebbe falsificat­o uno

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