Latorre resta in Italia per tre mesi E l’India spinge sul processo ai marò
Concessa la licenza, ma la Corte Suprema apre la via al procedimento. Forse entro luglio
Può sembrare assurdo dirlo a più di tre anni dall’inizio della vicenda ma ora Delhi sembra intenzionata ad accelerare sul caso dei due marò. E — ancora più assurdo — ciò potrebbe mettere in difficoltà l’Italia. Ieri, la Corte Suprema indiana ha prolungato di altri tre mesi, fino al 15 luglio, la licenza di convalescenza che Massimiliano Latorre sta trascorrendo in Italia dallo scorso settembre. È la seconda volta che lo fa e la decisione era attesa. La parte più interessante dell’udienza che si è tenuta al tribunale supremo del Paese è però quella che riguarda i tempi del processo che Latorre e Salvatore Girone — accusati di avere ucciso, mentre erano in missione antipirateria, due pescatori il 15 febbraio 2012 — dovranno affrontare.
Il giudice ieri ha detto che ora si tratta di rimuovere gli impedimenti che finora hanno ritardato l’avvio del processo in India. Ha dunque fissato per l’ultima settimana di aprile l’udienza per rimuovere l’ostacolo principe, cioè una sospensione, Militari Salvatore Girone (destra) e Massimiliano Latorre in una foto d’archivio decisa dalla Corte stessa, di tutti i procedimenti aperti, in modo da potere decidere su un’istanza avanzata nel marzo 2014 dai difensori dei due italiani contro il fatto che l’accusa fosse affidata alla Nia, l’agenzia antiterrorismo indiana. Una volta stabilito se l’istruttoria sarà di competenza della Nia o della polizia, il processo indiano, affidato a un tribunale appositamente da creare, potrà iniziare. L’obiettivo dichiarato ieri dal giudice è di «fare avanzare il processo».
Detto in termini più espliciti, l’Alta Corte indica che Latorre e Girone — quest’ultimo ancora a Delhi in libertà provvisoria — potrebbero essere processati in tempi brevi, forse addirittura prima che la licenza di Latorre
I giudici Hanno chiesto di eliminare gli ostacoli, che potrebbero cadere già ad aprile
finisca a metà luglio. L’obiettivo con il quale si è mossa Roma da quasi due anni a questa parte — respingere il processo in India in quanto i due militari erano in missione ufficiale e quindi da giudicare in Italia — a quel punto vacillerebbe. E sarebbero necessarie contromisure drastiche, ad esempio il rifiuto dei due marò di presentarsi in aula, con le conseguenze d e l c a s o . I n q u e s to susseguirsi di equivoci ed errori, c’è di più: il ricorso dell’Italia contro l’utilizzo della Nia, solo un anno fa, fu un riconoscimento implicito della giurisdizione indiana, cioè del diritto di Delhi di giudicare i due fucilieri di Marina. Riconoscimento che renderebbe più complicata l’eventuale apertura di un contenzioso internazionale sulla giurisdizione.
Questo scenario potrebbe essere modificato o azzerato se domani il governo indiano desse indicazione alla Corte Suprema di trovare un accordo con l’Italia per ricorrere a un arbitrato internazionale sulla giurisdizione; e se la Corte la accettasse. Che è l’obiettivo del governo Renzi. Colloqui tra Roma e Delhi sono in corso da tempo — pare con un notevole coinvolgimento dei servizi d’informazione dei due Paesi — ma di risultati finora non se ne sono avuti. La tela la tessono sempre gli indiani.
@danilotaino