GUERRA DI MISSILI E PAROLE FRA RUSSIA E DANIMARCA
L’ambasciatore russo in Danimarca ha minacciato di usare armi nucleari contro le navi danesi se la Danimarca rappresenterà una minaccia contro la Russia. A prima vista sembra una minaccia esagerata, ma è proprio così? Non le sembra che la Nato stia esagerando? Caro Avato, ome ha ricordato Luigi Ippolito sul Corriere del 23 marzo, le parole dell’Ambasciatore russo a Copenaghen, Mikhail Vanin, sono in un articolo pubblicato in un giornale danese. Non credo che si sarebbe espresso in questi termini se la sua linea non fosse quella del governo di Mosca. Affermazioni di questo genere, del resto, sono già state fatte in parecchie occasioni, negli scorsi anni, sia durante la presidenza di Dmitrij Medvedev, sia durante quella di Vladimir Putin. Quando la dirigenza russa annunciò che non avrebbe esitato, in determinate circostanze, a schierare missili nella regione di Kaliningrad (la vecchia Königsberg, una città che si affaccia sul Baltico tra Polonia e Lituania), non ignoravamo che quelle armi avevano una dotazione nucleare e sapevamo quali sarebbero stati i loro obiettivi. La storia comincia nel 1972 e merita di essere brevemente ricordata.
Nel maggio di quell’anno gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica firmarono uno dei più lungimiranti accordi della Guerra fredda. Ciascuno dei due Paesi aveva missili capaci di distruggere in volo un missile nemico ed era perfettamente in grado di costruire intorno al proprio territorio una fitta rete protettiva. Ma le due maggiori potenze, in tale caso, si sarebbero inevitabilmente impegnate in una gara costosa e potenzialmente pericolosa. Per evitarlo fu firmato un documento, noto come Trattato Abm, con cui gli Stati Uniti e l’Urss s’impegnavano a costruire soltanto due basi antimissilistiche,
Cciascuna delle quali sarebbe stata dotata di 100 missili. Mosca e Washington, in altre parole, si impegnavano formalmente a non perseguire la loro totale invulnerabilità: una condizione fondamentale per raffreddare il micidiale clima competitivo della corsa agli armamenti.
Il trattato durò sino a quando il presidente George W. Bush , nel 2002, dichiarò che gli impegni del 1972 impedivano all’America di creare una rete antimissilistica contro gli «Stati canaglia» e decise di denunciare il trattato. Quando fu chiesto quale fosse il potenziale nemico, Washington levò il dito contro l’Iran, ma l’affermazione non parve convincente anche perché la nuova base, nelle intenzioni dello Stato maggiore americano, sarebbe stata costruita in Polonia, mentre l’indispensabile radar sarebbe stato collocato nella Repubblica ceca. La Russia offrì un proprio radar situato in Azerbaigian, luogo particolarmente adatto a intercettare missili iraniani. Ma gli americani non accettarono. Le ricordo, caro Avato, che questo avveniva mentre la Nato aveva già iniziato la sua avanzata verso l’Unione Sovietica e che ne avrebbe oltrepassato le frontiere due anni dopo, nel marzo del 2004, incorporando Estonia, Lettonia e Lituania. Non è sorprendente, a questo punto, che la Russia si considerasse potenzialmente minacciata.
Il presidente Obama ha parzialmente modificato il progetto del suo predecessore e ha annunciato che i missili anti-missili saranno installati a bordo di navi americane e di Paesi disposti a collaborare. Se gli Stati Uniti speravano di dare in questo modo una risposta soddisfacente alle apprensioni russe, sbagliavano. Mosca continua a pensare, non senza qualche ragione, che la denuncia del trattato Abm dimostri l’esistenza di una politica americana alquanto diversa da quella di uno dei momenti migliori della Guerra fredda.