Matteo Collura racconta amori e timori di un pensionato assistito da una misteriosa donna
Dovendo scegliere un’immagine per illustrare il nuovo romanzo di Matteo Collura, La badante, appena uscito per Longanesi, verrebbe spontaneo pensare immediatamente al quadro che il protagonista Italo Gorini decide di appendere in salotto: Pollice verso, di Jean-Léon Gérôme. Si tratta di un’opera kitsch, un’opera tetra e al tempo stesso eccessiva, com’è la vecchiaia; ma non è questo a incantare Gorini. Il punto è piuttosto la scena ritratta. Due gladiatori, uno sconfitto, l’altro voltato verso il pubblico, fermo, in attesa di ricevere da un imperatore svogliato il segnale che decreterà la morte o la vita dell’avversario ferito.
Il titolo è chiaro, il destino è segnato, ma congelato sulla tela sta quell’istante di sospensione, l’istante in cui tutto si dilata e in cui crudelmente, paradossalmente, il moribondo continua a esser vivo. E ha tempo per tutto: per fare bilanci, per soffrire e pentirsi e addirittura per sorprendersi, arrivando a capire quel che, finora, gli era sempre sfuggito. Solo una cosa non può fare: fermare la daga che, entro breve, arriverà a passargli il cuore.
La badante è un romanzo in cui, abbandonando temi e scenari che gli sono consueti, Matteo Collura decide di prendere di petto il dramma della nuova vecchiaia. «Nuova» perché non esistono età della vita che sfuggano alla contingenza delle epoche e così il vecchio e a tratti cinico professor Italo Gorini è, in tutto e per tutto, un anziano di oggi. Uno dei tanti, dei milioni protagonisti invisibili delle città contemporanee, rappresentante emblematico di una maggioranza silenziosa che fa l’Italia e non si vede. Colto, beffardo, mentalmente attivo pur confinato su
Arena
(1872 ) di Jean-Léon Gérôme una sedia rotelle. Convive con un figlio adulto, ma che fatica ancora a uscire da una lunghissima adolescenza disoccupata e dipendente dallo smartphone. Viene assistito da una badante romena, Paula, da cui in segreto è disperatamente attratto e che, s’intuisce, avrà un ruolo chiave nella storia; riceve le visite della sua Maddalena, sorella zitella e benpensante, ed è assediato in generale da un mondo imbecille, la metropoli esterna, che stenta forse a riconoscere ancora. Giusto la Luna, solo lei, sembra rimasta uguale a se stessa. Ma quanto al dramma del tempo che passa non è tanto negli acciacchi né nella morsa familiare. Il problema, di nuovo, è già tutto illustrato in quel Pollice verso, nell’allungarsi della terza età, in quell’istante congelato che non concede speranze ma tempo, solamente tempo. Non è nella morte, la maledizione, ma nel pensiero che continua a scorrere, nel cuore che continua a battere, nel fatto che il vecchio continua a essere uomo senza però la facoltà più essenziale della vita: cambiare. Gorini, perciò, è un personaggio vitale, nella sua ruvidezza, addirittura nelle pulsioni più basse, per cui non si può non fare il tifo ma — sta qui tutto il paradosso — sapendo benissimo che la sua lotta per la vita è comunque una sfida che non potrà vincere fino in fondo.
Quel che all’inizio sembra soltanto il ritratto di una situazione tipica, diviene così, tra le mani di Collura, qualcosa di molto diverso. Un romanzo dinamico, ricco di svolte e di colpi di scena, godibilissimo per il lettore, ma al tempo stesso quasi immobile. Un romanzo avvincente, ma in cui ogni scoperta, ogni sorpresa (eventi essenziali che non possiamo svelare) si riferisce puntualmente al passato. Se la badante non è esattamente la persona che immagina Gorini, se la sua giovinezza trascorsa da italiano in Libia nasconde lati che anche a lui sono oscuri, si può solamente restare a guardare. Al protagonista, incollato com’è, quasi iconicamente, alla sua carrozzina, non resta perciò che la possibilità del gladiatore sconfitto, la scelta terribile dell’accettazione. Dovrà accettare che gli anni trascorsi non corrispondano ai ricordi e che anche il presente sfugga ostinato al suo controllo e alla sua voglia di reagire. E infine dovrà forse accettare che l’autore trasformi la sua storia in una sorta di racconto esemplare.
Con un distacco e un sorriso da filosofo amaro sospeso tra Luigi Pirandello e Alessandro Manzoni, Collura ci porta dal minimalismo di una scena quotidiana a un’assolutezza da racconto biblico di Giobbe, che si direbbe persino serena nella sua presa d’atto dell’irrimediabilità della vita. Bello, spietato, La badante è una grande opera di camuffamento, che parla di un gladiatore sconfitto per raccontarci di quella sconfitta generale propria di ogni combattente calato nell’arena del mondo. (Rizzoli 1984, 1997, 2008), (Einaudi 1979, Tea 2001) e (Reverdito 1988)