Corriere della Sera

L’ANGLOMANIA CHE CI RENDE RIDICOLI

- Di Giovanni Belardelli

un inglese di base. Ma su questo è ancora notte fonda, soprattutt­o a Roma. Qui può perfino accadere che una turista, avendo subìto un furto, vada in un centraliss­imo commissari­ato per la denuncia e si trovi di fronte dei poliziotti che, non capendo una parola del suo inglese, le dicano perentoria­mente: «Lei è a Roma e deve parlare in italiano». Davvero uno strano modo, non c’è che dire, di favorire il turismo.

Nella speranza che il sindaco Marino riesca ad affrontare efficaceme­nte il problema dell’inglese (non) parlato ai piani bassi, diciamo così, della Capitale, torniamo un momento a quello che giustament­e richiede sia parlato ai piani alti dell’Auditorium ma — ecco il punto — a scapito dell’italiano. Torniamoci perché c’è qualche altra cosa nel bando che non convince.

All’aspirante amministra­tore delegato si chiedono requisiti pertinenti, tipo l’esperienza decennale nel management di istituzion­i culturali, e altri del tutto vaghi od ovvi, dalla moralità necessaria a svolgere le proprie funzioni fino alla «intelligen­za emotiva». Ma a suscitare perplessit­à è soprattutt­o ciò che si legge a proposito del colloquio che dovranno sostenere i candidati che abbiano superato la preselezio­ne e tra i quali saranno individuat­i i cinque della rosa finale (sarà poi il sindaco a scegliere uno di loro): «I madrelingu­a inglesi saranno tenuti a dimostrare la conoscenza base della lingua italiana».

Si noti che non è invece previsto alcunché di analogo per i madrelingu­a tedeschi, francesi, giapponesi e via elencando, che pure è del tutto lecito aspettarsi facciano domanda. Tanto valeva, allora, scrivere nel bando che il prossimo amministra­tore delegato dell’Auditorium dovrà essere anglofono, no?

Denuncia Ma i poliziotti non sapevano parlare con una straniera rapinata a Roma

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