L’ANGLOMANIA CHE CI RENDE RIDICOLI
un inglese di base. Ma su questo è ancora notte fonda, soprattutto a Roma. Qui può perfino accadere che una turista, avendo subìto un furto, vada in un centralissimo commissariato per la denuncia e si trovi di fronte dei poliziotti che, non capendo una parola del suo inglese, le dicano perentoriamente: «Lei è a Roma e deve parlare in italiano». Davvero uno strano modo, non c’è che dire, di favorire il turismo.
Nella speranza che il sindaco Marino riesca ad affrontare efficacemente il problema dell’inglese (non) parlato ai piani bassi, diciamo così, della Capitale, torniamo un momento a quello che giustamente richiede sia parlato ai piani alti dell’Auditorium ma — ecco il punto — a scapito dell’italiano. Torniamoci perché c’è qualche altra cosa nel bando che non convince.
All’aspirante amministratore delegato si chiedono requisiti pertinenti, tipo l’esperienza decennale nel management di istituzioni culturali, e altri del tutto vaghi od ovvi, dalla moralità necessaria a svolgere le proprie funzioni fino alla «intelligenza emotiva». Ma a suscitare perplessità è soprattutto ciò che si legge a proposito del colloquio che dovranno sostenere i candidati che abbiano superato la preselezione e tra i quali saranno individuati i cinque della rosa finale (sarà poi il sindaco a scegliere uno di loro): «I madrelingua inglesi saranno tenuti a dimostrare la conoscenza base della lingua italiana».
Si noti che non è invece previsto alcunché di analogo per i madrelingua tedeschi, francesi, giapponesi e via elencando, che pure è del tutto lecito aspettarsi facciano domanda. Tanto valeva, allora, scrivere nel bando che il prossimo amministratore delegato dell’Auditorium dovrà essere anglofono, no?
Denuncia Ma i poliziotti non sapevano parlare con una straniera rapinata a Roma