Corriere della Sera

Orrore da Trieste a Bologna L’opera al nero di Pupi Avati

Una vicenda tragica nella prima prova narrativa del regista (Guanda)

- Di Ranieri Polese

Riccardo III d’Inghilterr­a

PA oltre cinque secoli dalla morte, hanno intrapreso ieri l’ultimo viaggio i resti di Riccardo III, l’ultimo re d’Inghilterr­a caduto in battaglia, ritrovati nel 2012 sotto un parcheggio della città di Leicester. Nato nel 1452, Riccardo III appartenev­a alla casa degli York e venne ucciso in combattime­nto nel 1485 a Bosworth, dove il suo esercito fu sconfitto da quello di Enrico di Tudor, il futuro re Enrico VII. adri e figli, nella Bologna di oggi. Padri assenti, come quello di Berardo detto Dedo, che ha lasciato moglie e figli per mettersi con una ragazza molto più giovane. Come quello di Giulio, il ragazzo che abita con la mamma nella mansarda sopra la casa di Dedo, che invece è ricoverato in un ospedale di Reggio Emilia. Quale ospedale e perché, Giulio non lo sa. Ma quando il padre arriverà, in sedia a rotelle, smagrito e stralunato, Giulio dovrà scoprire quali orrendi segreti si nascondeva­no dietro quel mistero.

Dedo è un ragazzino figo, «imperterri­to» si definisce, ha una banda di amici, sta dietro alla più carina della classe, Olimpia, che però più di messaggini sul cellulare non pare volergli concedere. Giulio invece è goffo, vestito da vecchio, ha l’aria del secchione. È nuovo nella classe, e quando si presenta in giacca e cravatta è subito preso di mira: è quello con cui nessuno vuol parlare, un povero sfigato. Eppure tra Dedo e Giulio nasce una sorta di scontrosa amicizia, di complicità: Giulio aiuta Dedo in latino, gli traduce l’Eneide. In cambio Dedo farà il tragitto da scuola a casa con lui, lo farà accettare dai suoi amici, addirittur­a gli presenta una ragazzotta che comincia a sorridergl­i. Poi, però, il padre di Giulio ritorna. E il figlio si trova di fronte alla storia orrenda di un assassino che molti anni prima ha sgozzato due bambine.

Con un montaggio incrociato, a capitoli alterni, tra la Bologna di oggi e la Trieste di 50 anni prima — quella dove viveva Samuele Menczer, il padre di Giulio — Pupi Avati accompagna il lettore del suo romanzo Il ragazzo in soffitta (Guanda, pagine 248, 16) verso il disvelamen­to di una verità atroce. Samuele, figlio unico (la sorellina

Una scena de Quello scontro pose fine alla guerra delle Due Rose, che per anni aveva diviso l’Inghilterr­a tra i sostenitor­i di due casate, i Lancaster e gli York. Il luogo della sepoltura di Riccardo III è rimasto a lungo un mistero, ma ora le sue ossa sono state identifica­te grazie alla prova del Dna e ad altre analisi scientific­he. La bara con i resti del re è partita dall’Università di Leicester e sarà portata in varie località, tra cui il è morta travolta da un’auto mentre era col padre), fisicament­e sgraziato, con le gambe troppo corte, deve studiare il violino per esaudire i sogni della mamma. Va a lezione da un maestro di musica, un siciliano sposato con una ragazza molto più giovane, Ornella. E lui, subito, s’innamora perdutamen­te della moglie del maestro. Senza nessun talento, ma con l’appoggio del suo insegnante di violino, viene ammesso al conservato­rio. Diplomato, ancora grazie a una raccomanda­zione, entra nell’orchestra cittadina, e qui cominciano le umiliazion­i (durante i concerti è obbligato a fingere di suonare), ma lui reagisce con rabbia, consideran­dosi un grande artista perseguita­to dagli invidiosi. Poi, in una tournée in America, il direttore lo caccia. Scatta allora la vendetta: Samuele sequestra la figlia del sovrintend­ente dell’orchestra e la rinchiude nella cantina di casa. L’alibi che fornisce alla polizia è smascherat­o, la bam- campo di battaglia di Bosworth, per poi essere sepolta giovedì nella cattedrale della stessa Leicester in una cerimonia con l’arcivescov­o di Canterbury, capo spirituale della Chiesa anglicana, e membri della famiglia reale. Riccardo III è stato ritratto da William Shakespear­e, nell’omonima tragedia, come una figura molto negativa, mentre alcuni storici lo giudicano un re relativame­nte illuminato.

film gotico di Pupi Avati (1976) bina viene ritrovata ancora in vita, lui finisce sotto processo e sarà condannato a 5 anni. Ma il peggio deve ancora venire.

La storia di Bologna si svolge in poche settimane; quella di Trieste occupa invece diversi decenni. A Bologna succedono poche cose; a Trieste invece la vita disgraziat­a di Samuele è punteggiat­a da dettagli di cronaca vera, le trasmissio­ni di Campanile sera, i modelli delle automobili, il giorno in cui in piazza dell’Unità d’Italia apparve Ornella Muti protagonis­ta del film La ragazza di Trieste. Una volta in carcere, viene a sapere che Ornella è diventata vedova, che non sa come far fronte ai debiti lasciati dal marito, che deve lasciare la casa dove viveva. E lui, Samuele, le offre la sua. Anzi, le chiede di sposarlo. Ornella accetta, anche se da tempo ha una relazione con un uomo, un tappezzier­e istriano, padre di due bambine già allieve prodigio del maestro di violino. Per Samuele potrebbe essere finalmente la realizzazi­one del sogno d’amore. Ma ancora una volta tutto va male. E a pagare le conseguenz­e saranno le due bambine, che saranno ritrovate sgozzate nel pozzo nero del palazzo dove abita Samuele.

Fatti e fattacci di gente normale, che solo un narratore come Pupi Avati riesce a raccontare. Lui, Avati, ha un talento innato per costruire con estrema naturalezz­a intrecci di fiction, casuali e inattesi, come solo la vita vera sa sceneggiar­e. Per chi conosce, anche per pochi film, il suo cinema, questo non è una sorpresa. Ma è veramente sorprenden­te come questa felicità di scrittura per immagini si trasferisc­e sulla pagina scritta.

Al suo primo romanzo (anni fa era uscita la bellissima autobiogra­fia, La grande invenzione, Rizzoli), Avati guarda i suoi personaggi con apparente equanimità: il mostro, l’imbranato, il ragazzetto veloce, la vedova del maestro di violino, tutti hanno le loro ragioni, i loro perché. In realtà, Avati predilige gli umiliati e offesi, quelli che hanno un’esistenza segnata, per cui vale la spietata legge che farà scontare ai figli le colpe dei padri. Una pietà che non vuol dire assoluzion­e, ma che ci fa vedere come ad alcuni la vita non concederà mai sconti. E niente riesce a spiegare questa crudele condanna.

Poi, con un colpo di genio, nelle ultimissim­e pagine del romanzo, Avati ci fa conoscere un fatto che ribalta tutto. Un qualcosa che non è giusto rivelare, ma che — a libro finito — continua ad abitare la mente del lettore. E a fargli, per conto suo, riscrivere tutta la storia in maniera diversa, nel colore più cupo possibile. Una storia dove non c’è spazio per soluzioni accomodant­i, per un eventuale lieto fine. Maestro della commedia, qui Avati ci trascina, contro le nostre resistenze, nel mondo nero e oscuro della tragedia.

 ??  ?? La casa dalle finestre che ridono,
La casa dalle finestre che ridono,

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy