Lo sciamano
Un romanziere in versi. Al quale bastava un dettaglio del 1790 o del 1930 per resuscitare un mondo
Claude Monet (1840-1926),
Con la Recherche, La camera da letto ha un altro punto in comune: la convinzione che tutta la realtà, soprattutto la realtà minima, quotidiana, insignificante, possa essere riflessa nello specchio dell’opera d’arte. Non c’è altro libro moderno che rappresenti in maniera così indimenticabile la vita familiare italiana nell’ultimo secolo. C’è tutto quello che vogliamo conoscere: il nonno, il padre e la madre, i rapporti tra i membri della famiglia: le domestiche, le stiratrici, le cucitrici, le bambinaie, i mezzadri: tutti gli usi e le abitudini — quando e come si pranza e si cena, le ore delle colazioni e dei sonni, come si guida la carrozza, come si passeggia, come si chiude la cuffia da bagno, come ci si spalma lentissimamente l’olio di noce sulle membra nude —: l’arnia ronzante della casa, i mobili e gli oggetti che la riempiono, le luci e le ombre che tingono i muri; la pellicciaia, la pescivendola, il macellaio, il panettiere, il droghiere che si fre- quentano in città. Nessuna tensione metafisica attraversa questo mondo come folgora il mondo di Giorgio Caproni. La religione di Bertolucci è una religione dei corpi, del sonno oscuro, del cibo cieco, dei sensi opachi, della vita ripetuta e rituale della famiglia. Tutto ciò che esiste — il tempo, la vita, la morte, i desideri, i colori, le ombre — viene accettato, giustificato e santificato.
Come ogni vero romanziere, Bertolucci possiede un senso straordinario delle diverse epoche storiche. Non ha bisogno di molto per rievocarlo: gli basta ricordare un nome, un colore, un’abitudine, il titolo di un libro, perché il 1790 o il 1910 o il 1930 risuscitino davanti ai nostri occhi. Eppure, il tempo storico non è il vero protagonista di questo libro. Chi regna, sopra la casa di campagna, la casa di città e quella di montagna, è il tempo atmosferico e ciclico della natura. Questo libro familiare è retto da una sapienza meteorologica simile a quella di uno sciamano o di un contadino — l’unica, forse, che possa conoscere un uomo. Bertolucci sa cosa siano le dieci di mattina, le tre o le cinque di sera — le loro varie forme e combinazioni nelle stagioni dell’anno; e qualche volta si direbbe che egli voglia raccogliere nel proprio libro tutti i soli, le lune, i cieli, i temporali, le piogge, le nebbie, le brume che si sono avute nell’Appennino e nella Pianura padana nel corso di un secolo. Mai (o con una sola eccezione) abbiamo sentito, come qui, che le ore possono essere dei veri personaggi romanzeschi.
Alla fine le scene, sebbene così fitte di richiami precisi, lasciano la loro epoca storica e si adunano in un sterminato presente, nel regno «del vergine, del vivace, del bel giorno d’oggi», come dice Mallarmé amorosamente tradotto. Nessuna evoluzione conduce dalla migrazione dei cavalli maremmani, avvenuta nel Seicento, al 1933, quando la prima parte del poema si arresta. Per avere una giusta idea del libro non dobbiamo immaginarlo diviso in parti, o canti o sequenze. Con gli occhi della mente dobbiamo immaginare una sola immensa tela, dipinta da un emulo di Monet o di Bonnard: dove le ninfee e le barche, i personaggi, gli eventi e le sensazioni — segnati dal tempo ma avulsi da lui — si frequentano e si visitano, abitando la stessa giornata interminabile nella quale le stagioni si alternano.
Quanta luce vi è in questo libro: come il sole illumina, splende, barbaglia, acceca — attira nel plein air dei campi o dei sentieri di montagna l’innamorato della chiusa vita familiare. Sembra che nulla possa ostacolare la luce: bagna tutta la terra e poi penetra negli interni, nella camera da letto o nella stanza da pranzo. Quando cala la sera, la luce delle candele, delle lucerne, delle stufe, dei camini e delle lampadine la prolungano, per impedire che «si avveri senza resistenza il dominio del nero». Ma quanta ombra si allunga. Non sappiamo se sia un riflesso simbolico della luce, o se l’ombra nasca da un principio più remoto e più profondo della stessa notte e si insinui dovunque si è posata la luce e la cancelli, senza pietà per le creature che Bertolucci ha evocato.