Corriere della Sera

Gran Bretagna e Germania intransige­nti con Mosca, Italia e Francia meno rigide, Grecia troppo aperta Il compromess­o possibile per allentare le tensioni a Est con realismo e nel rispetto dei principi e delle diversità

- Di Antonio Armellini

Chi nutrisse ottimismo su una politica estera comune dell’Europa, non ha che da guardare a cosa essa sta facendo per la crisi ucraina. Il «documento di lavoro» elaborato da Federica Mogherini è morto sul nascere e il suo tentativo di creare una tela di fondo su cui ragionare di Russia — e di Ucraina — galleggia stentatame­nte fra mille ambiguità e resistenze.

Quello che sta accadendo nell’Est dell’Ucraina è certamente inaccettab­ile: l’invasione mascherata di truppe russe senza mostrine ma bene armate costituisc­e una violazione dell’ordine internazio­nale. Le sanzioni tuttavia non vanno viste come un fine in sé, bensì come il mezzo per arrivare a una situazione in cui diritti e aspettativ­e di tutti vengano garantiti. Sui rapporti con la Russia — di cui la questione ucraina è il più forte addentella­to — si incrociano in Europa pregiudizi­ali ideologich­e, rigore etico, tattiche politiche e convenienz­e commercial­i: il tutto in un guazzabugl­io nel quale è problemati­co individuar­e un filo comune. L’Ue rappresent­a per la Polonia, i Paesi baltici e, in misura diversa, gli altri ex membri del «campo socialista», la garanzia contro un possibile ritorno di fiamma dell’espansioni­smo russo. La crisi ucraina diventa così la cartina di tornasole della determinaz­ione di non permettere cedimenti davanti a un Paese che mostra di capire solo il linguaggio della forza.

Angela Merkel ha saputo resistere alle pressioni del mondo economico tedesco e ha ribadito una linea di rigore. In questo, non perché sia stata indifferen­te a consideraz­ioni commercial­i (il danno è reale e si vede), ma perché ha ritenuto che, per capire dove stia una linea accettabil­e di compromess­o, il gioco di Putin vada visto senza cedimenti. Nello svolgere il ruolo di leader politico di fatto dell’Europa, il suo cammino si è incontrato con quello di Londra, che alla volontà di non rinunciare comunque a un ruolo politico attivo ha aggiunto quello, tradiziona­le, di portavoce in Europa delle posizioni Usa. Francia e Italia sono state accusate di opportunis­mo, dove il ragionamen­to politico nascondeva la vera motivazion­e di contenere i danni sul mercato russo (e magari conquistar­e qualcosa ai danni della Germania). Qualche fondamento c’è, ma affermazio­ni del genere sono riduttive: dietro la posizione di Roma c’è la consideraz­ione — giusta a mio avviso — che per rendere efficaci le sanzioni sia necessario partire da una consideraz­ione realistica del dare e dell’avere rispettivo. Una posizione ben diversa dal tatticismo filorusso dell’Ungheria di Orban o della Grecia di Tsipras, al debutto di una partita negoziale dura, che si appresta a giocare su tutti i fronti possibili.

Può fare qualcosa una Europa così frammentat­a? Forse sì mettendo in campo una combinazio­ne fra fermezza tedesca ed elaborazio­ne politica italo-francese. L’Ucraina è al centro di quello che un tempo era la faglia che divideva Est e Ovest, che la caduta del Muro non ha cancellato e nella quale la guerra non dichiarata in atto ha radicalizz­ato pericolosa­mente le posizioni. Fornire armi a Kiev come vorrebbero gli Usa (e il Financial Times) aprirebbe la via a una escalation che rischiereb­be di fare incancreni­re la situazione i cui sviluppi sarebbero imprevedib­ili. Se la secessione di fatto cui puntano i ribelli filorussi non può essere oggetto di negoziato, il governo ucraino da parte sua deve una volta per tutte onorare l’impegno per riforme costituzio­nali che garantisca­no sostanzial­i autonomie al suo interno, più volte assunto e mai realizzato. La parola «Federazion­e» evoca a ragione lo spettro dell’orso russo, ma i toni intolleran­ti che di quando in quando provengono da Kiev non vanno trascurati: la storia anche recente del Paese ne è troppo ricca per prenderli alla leggera.

Bisogna ripristina­re un minimo di legittimaz­ione democratic­a, prima che tutto vada fuori controllo. L’adesione all’Ue rappresent­erebbe per l’Ucraina il riconoscim­ento definitivo della propria autonomia; allo stesso tempo, il rispetto rigoroso delle regole di democrazia e libertà contenute nei Trattati costituire­bbe per tutti una garanzia, su cui impostare il superament­o delle divisioni attuali. L’Ucraina nell’Ue continuere­bbe a non piacere a Mosca ma, nella misura in cui rafforzere­bbe le autonomie e la tutela delle minoranze, le sarebbe difficile opporvisi frontalmen­te. Diverso è il discorso per quanto riguarda la Nato. È qui che si colloca verosimilm­ente la linea di resistenza di Putin, per il quale sarebbe difficile accettare che la vecchia faglia che lo separava dall’Occidente venga coperta dall’espansione di quella che — a torto o a ragione — considera una alleanza passata molto rapidament­e dalla cooperazio­ne diffidente al confronto strisciant­e con Mosca. Senza contare che una Ucraina nella Nato sarebbe divisiva non solo nei confronti di Mosca, ma anche in seno all’Alleanza.

L’Unione europea garante di una Ucraina democratic­a, multicultu­rale e attenta alle minoranze dunque? Per quanto l’ipotesi appaia difficile, non è impossibil­e. A meno di non voler lasciare il campo solo alla Germania.

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