Corriere della Sera

Pagni grande giustizier­e tra Eduardo e Al Pacino

- di Franco Cordelli

Per Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, una commedia del 1960 messa in scena al Quirino di Roma da Marco Sciaccalug­a (per lo stabile di Genova), sembra giusto distinguer­e. La regia di Sciaccalug­a è linda, ordinata, lodevole. È anche una di quelle regie che conosciamo a memoria, a cominciare dal palcosceni­co inclinato: l’ultimo lo si era visto per La vita che ti diedi di Marco Bernardi: come fosse un’idea dei registi rimasti per troppo tempo al sicuro dietro le quinte d’una direzione di teatro stabile.

Quel piano inclinato non è da intendersi in senso psicanalit­ico, quasi che i suoi artefici si sentissero scivolare il terreno sotto i piedi; bensì come modesta abitudine d’eccentrici­tà, non essendovi di meglio da escogitare. Tra le lodi citate in locandina si legge d’una «castità visiva»: direi meglio «semplicità» e non la farei più lunga di così.

Un discorso a parte lo merita ovviamente la commedia di Eduardo. Il Sindaco, ovvero Antonio Barracano, è un «giustizier­e » buono. Ci si chiede: avrebbe potuto Eduardo scrivere di un «giustizier­e» cattivo? Ma Barracano controlla il rione di sua competenza più con l’arma del buon senso che con quella della bontà. Egli è una specie di Robin Hood napoletano. Il suo intendimen­to, difendere gli ignoranti dai potenti, è affollato di luoghi comuni. Sostiene che prima o poi la vita ti scova, ti mette con le spalle al muro ( ma lo sapevamo dai tempi di Pirandello, e forse da tanti anni, da secoli). O sostiene che a volte è meglio fare un passo indietro, ecco la saggezza (a essa viene fatto di rispondere che è possibile l’esatto contrario, che a volte sarebbe meglio rischiare e fare un passo in avanti). Ma poi: qual è il problema che deve risolvere?

Si sveglia, si veste, riceve la colazione, sbriga il fatto dei cani, uno dei quali ha morso l’adorata moglie (la cicatrice che lei ha sul seno, lui la porterà nel cuore), sistema qualche affaruccio e passa alle cose grosse. Un ragazzo vorrebbe uccidere il padre panettiere. Perché? Perché lo ha cacciato di casa. E perché lo ha cacciato di casa? Perché non ha voglia di lavorare. Per Barracano mettere al posto loro padre e figlio è questione di poco conto, ma ci rimetterà la pelle — come sono gli uomini non lo sa neppure lui e quella coltellata ben gli sta. La scena finale serviva a Eduardo per indurre negli spettatori un briciolo di commozione e convincerc­i che di fronte alla morte siamo tutti uguali, giustizier­i o persone comuni. Altra questione la presenza di Eros Pagni. Non lo vedevo da tempo. Con gioia l’ho scoperto in grande forma, i meriti dello spettacolo sono suoi (non voglio dimenticar­e Federico Vanni che è Fabio, il medico amico di Barracano).

All’inizio ero sconcertat­o, non lo capivo, chi è quell’uomo lì, quel personaggi­o? Anch’io aspettavo Eduardo. E dopo un po’ pensavo: il Sindaco non deve essere Eduardo, è (forse) un po’ di più Al Pacino, ma anche Al Pacino non è. Chi è, allora? Ecco, questa la grandezza di Eros Pagni, che scivola con sapienza tutta sua nella cruna dell’ago presidiato da quei due, il mostro sacro napoletano e quello americano.

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In poltrona Eros Pagni, 75 anni, è il protagonis­ta della commedia di Eduardo in scena a Roma

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