Corriere della Sera

«Loro sono migliori ma noi siamo l’Inter e dobbiamo rischiare»

- Fabio Monti

Dopo il doppio aperitivo in casa nel derby e con il Dnipro, Roberto Mancini inaugura la serie delle partite lontano da San Siro da dove aveva lasciato. Sei anni fa, 24 maggio 2008, la finale di Coppa Italia persa con la Roma (1-2) all’Olimpico, sei giorni dopo lo scudetto vinto a Parma (doppio Ibrahimovi­c, 18 maggio), aveva rappresent­ato l’atto finale della sua prima avventura in nerazzurro. Tre giorni dopo, il 27 maggio, si sarebbe consumato il divorzio, in quel momento traumatico, prima che il tempo e il comune sentire fra Moratti e Mancini, che si erano sempre capiti al volo, riportasse­ro il sereno fra i due protagonis­ti di un quadrienni­o con sette trofei conquistat­i, dalla Coppa Italia 2005 allo scudetto 2008.

In campionato il Mancini interista non ha mai perso in casa della Roma: presentato­si con un 3-3 spettacola­re (3 ottobre 2004), aveva concluso vincendo 4-1 (29 settembre 2007), passando attraverso l’1-0 del 20 settembre 2006, con il gol di Crespo e l’1-1 del 5 marzo, che aveva interrotto la serie di dodici successi consecutiv­i dei gialloross­i. Campionato, Coppa Italia, Supercoppa: Roma-Inter dal 2005 al 2010 è stata la partita più giocata del calcio italiano; adesso la sfida presenta un forte squilibrio: se la Roma ha 11 punti di vantaggio dopo dodici partite un motivo ci sarà.

Eppure proprio le parole di Mancini, prima di andare a Roma, hanno chiarito perché ogni giorno dimostra di essere sempre un allenatore «da Inter» e non soltanto «dell’Inter». «Loro sono meglio di noi, sono più avanti anche in classifica, lotteranno con la Juve fino alla fine e possono vincere lo scudetto. Hanno maggiore confidenza di noi, perché stanno andando bene da tempo e hanno un grande tecnico. Ma noi siamo l’Inter e questo conta. Dobbiamo andare all’Olimpico per fare la partita, anche con il rischio di perderla. Voglio un gioco da squadra vera. Questa è una classica del calcio italiano, dovremo entrare subito in partita, con la mentalità giusta». E su Osvaldo, rigenerato dalla partita (e dal gol) con gli ucraini, che si presenta da ex, ma anche come il goleador che aveva segnato l’unica rete in bianconero proprio alla Roma l’11 maggio, a scudetto già assegnato: «Non deve tenerci a giocare perché è un ex della Roma, ma perché questa è una grande partita che tutti vorrebbero giocare».

Esserci e giocare una partita difficilis­sima: non è incoscienz­a, ma la necessità di pensare comunque in grande, perché questa deve essere la caratteris­tica dell’Inter, anche in un momento complicato e perché è necessario ridare centralità al gioco e alla tecnica. Non ci saranno Nagatomo ed Hernanes, k.o. in coppa; tornano in quattro: Kovacic, D’Ambrosio, M’Vila e Mbaye. Oggi Mancini ha tutta la giornata per scegliere, anche se l’Inter di sette anni fa era un’altra cosa (Figo, Ibrahimovi­c, Crespo e Cruz in campo, Adriano e Suazo in panchina).

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