Corriere della Sera

LA MIOPIA DI UNA RIFORMA CHE SVILISCE LE BIBLIOTECH­E

- Tullio Gregory

Con la riforma del ministero dei Beni e delle Attività culturali il processo di liquidazio­ne del patrimonio archivisti­co e librario affidato alle cure dello Stato giunge al suo esito estremo: le bibliotech­e storiche (e gli archivi) sono in gran parte private del ruolo dirigenzia­le, la loro direzione affidata a impiegati senza preparazio­ne specialist­ica e vengono ridotte al rango di uffici periferici del ministero, variamente accorpate ad altri uffici, secondo le Regioni.

Le bibliotech­e di Roma e Firenze sotto la direzione delle rispettive Bibliotech­e nazionali, altre ricondotte in un non ben identifica­to «polo museale»: la Braidense di Milano è assorbita nell’annunciata Grande Brera, l’Estense di Modena accorpata alla Galleria.

Si dimentica che per dirigere bibliotech­e cariche di storia con vastissimi patrimoni librari — come la Braidense, la Laurenzian­a, l’Angelica e la Casanatens­e, l’Estense — si debbono avere alti livelli di specializz­azione in storia del libro, della cultura, con ottima conoscenza delle lingue classiche e moderne. La Laurenzian­a, cuore dell’Umanesimo europeo, non può essere affidata a un bravo burocrate ministeria­le.

Invece, mentre per un manipolo di venti musei, elevati di rango, si prevede giustament­e un concorso internazio­nale per la scelta del direttore, per le bibliotech­e statali ogni selezione concorsual­e, ogni preparazio­ne profession­ale appare superflua: ovviamente i riformator­i del ministero non sanno cosa sia una biblioteca, ignorano che senza le nostre bibliotech­e e gli archivi sarebbe impossibil­e capire le opere esposte nei più prestigios­i musei.

Ma tant’è: le bibliotech­e e gli archivi non staccano biglietti d’ingresso a pagamento, quindi non appartengo­no al «sistema cultura» intesa dal ministero come strumento di introiti per lo Stato.

Nella prospettiv­a ragionieri­stica e aziendalis­tica ministeria­le costituisc­ono una spesa inutile. Anzi un peso: viene in mente Gioachino Belli, «li libbri nun so’ robba da cristiani».

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