Inchiesta Mose, Milanese scarcerato
La Cassazione annulla la custodia cautelare: decade anche l’accusa di corruzione L’ex assessore Chisso patteggia trenta mesi più il sequestro di due milioni
Non un corrotto ma un astuto mediatore di traffici illeciti. Un reato meno grave, insomma. E con questa nuova accusa, «traffico di influenze illecite», la Cassazione ieri ha disposto la scarcerazione di Marco Milanese, ex onorevole del Pdl, ex colonnello della Finanza ed ex consigliere economico dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
«Dimostrerò la mia innocenza, ho sempre avuto fiducia nei giudici» ha detto Milanese all’uscita dal carcere di Santa Maria Capua Vetere. Era in cella
I blocchi
In basso, le paratoie mobili del sistema Mose sollevate ieri. Sotto verrà realizzata una pista ciclabile da luglio con l’accusa di aver incassato una tangente di 500 mila euro da Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), nell’ambito della vicenda Mose. Mazzacurati confessò di aver versato i soldi per far approvare una delibera del Cipe che sbloccava il finanziamento di 400 milioni di euro a favore del Mose, cosa che si verificò.
Secondo le procure di Venezia e Milano (quest’ultima subentrata per competenza), l’ex onorevole avrebbe potuto condizionare la scelta grazie alla vicinanza a Tremonti. Era lui «l’uomo con le mani in pasta», come lo definiva Mazzacurati, capace di risolvere l’irrinunciabile questione finanziaria. Ed era sempre lui l’interlocutore che il presidente del Cvn volle incontrare a Milano nel giugno 2010. Appuntamento nella sede meneghina di Palladio finanziaria, la Mediobanca del Nord Est, alla presenza dell’amministratore delegato Roberto Meneguzzo. Per l’accusa la mazzetta sarebbe passata di mano in quell’occasione.
«Premesso che il mio cliente nega la tangente, va sottolineato che il titolo di reato era comunque sbagliato — dice soddisfatto l’avvocato Bruno Larosa, difensore di Milanese —. Perché la corruzione contestata per l’arresto prevede il ruolo attivo di un pubblico ufficiale, mentre lui nell’occasione non lo era, non avendo potere sul Cipe. E così ha sofferto ingiustamente 5 mesi di carcere».
Intanto anche l’ultimo protagonista politico ha patteggiato: Renato Chisso,ex assessore regionale alle Infrastrutture, ha chiuso la partita giudiziaria con una pena di 2 anni e 6 mesi più il sequestro di 2 milioni. Ma nei suoi conti la Finanza ha trovato poche briciole.