SE CAMERON GIOCA SULL’EUROPA
David Cameron non vuole convincersi che, inseguendo gli estremisti antieuropei dell’Ukip sul loro terreno, rischia di finire in un vicolo cieco. Le sue dichiarazioni sull’immigrazione sono state accolte con scherno da Nigel Farage — il quale ha in mente solo la secessione — e non gli consentiranno di recuperare granché dei voti perduti alla sua destra. I conservatori moderati che in Europa ci vorrebbero restare, anche se obtorto collo, potrebbero reagire negativamente ai suoi toni urlati e rivolgersi verso la linea euroscetticamente ragionevole del Labour di David Miliband.
Rivendicando il diritto di limitare il welfare per i lavoratori dell’Unione Europea in Gran Bretagna, Cameron è stato attento a non attaccare il principio comunitario della libera circolazione. Lo ha anzi ribadito, sia pure in linea generale, al fine di ricavarsi una zona grigia per una trattativa al cui esito ha subordinato la possibilità che Londra resti nell’Ue. Non che nelle cose che ha detto sia tutto sbagliato: eccessi nel ricorso a un sistema sociale generoso come quello inglese ce ne sono anche altrove, ma i Trattati esistenti offrono gli strumenti per contrastarli. Nel proporre misure unilaterali egli ha adombrato un mercato del lavoro in cui ai cittadini europei verrebbe riservato un trattamento differenziato a seconda della loro provenienza e delle convenienze politiche (incurante delle battute sugli «idraulici polacchi», si è subito affrettato a rassicurare la Primo ministro di Varsavia, Ewa Kopacz, che le nuove misure non avrebbero discriminato i suoi cittadini).