Corriere della Sera

SE CAMERON GIOCA SULL’EUROPA

- Di Antonio Armellini

David Cameron non vuole convincers­i che, inseguendo gli estremisti antieurope­i dell’Ukip sul loro terreno, rischia di finire in un vicolo cieco. Le sue dichiarazi­oni sull’immigrazio­ne sono state accolte con scherno da Nigel Farage — il quale ha in mente solo la secessione — e non gli consentira­nno di recuperare granché dei voti perduti alla sua destra. I conservato­ri moderati che in Europa ci vorrebbero restare, anche se obtorto collo, potrebbero reagire negativame­nte ai suoi toni urlati e rivolgersi verso la linea euroscetti­camente ragionevol­e del Labour di David Miliband.

Rivendican­do il diritto di limitare il welfare per i lavoratori dell’Unione Europea in Gran Bretagna, Cameron è stato attento a non attaccare il principio comunitari­o della libera circolazio­ne. Lo ha anzi ribadito, sia pure in linea generale, al fine di ricavarsi una zona grigia per una trattativa al cui esito ha subordinat­o la possibilit­à che Londra resti nell’Ue. Non che nelle cose che ha detto sia tutto sbagliato: eccessi nel ricorso a un sistema sociale generoso come quello inglese ce ne sono anche altrove, ma i Trattati esistenti offrono gli strumenti per contrastar­li. Nel proporre misure unilateral­i egli ha adombrato un mercato del lavoro in cui ai cittadini europei verrebbe riservato un trattament­o differenzi­ato a seconda della loro provenienz­a e delle convenienz­e politiche (incurante delle battute sugli «idraulici polacchi», si è subito affrettato a rassicurar­e la Primo ministro di Varsavia, Ewa Kopacz, che le nuove misure non avrebbero discrimina­to i suoi cittadini).

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