L’AGENDA DIGITALE E QUEI 32 DECRETI PER DARLE VITA
Era uno dei grandi timori della nutrita comunità digitale che in Italia sta crescendo fino a poter aspirare anche a qualche voto: che l’Agenda digitale italiana potesse restare lettera morta, "digitale" sulla carta della Gazzetta ufficiale ma alfine blocco di gesso nel laboratorio di un artigiano. Ed è quello che stiamo rischiando. La mina si chiama decreto attuativo anzi, decreti attuativi: oltre 30. E sono quelli che mancano. L’intero programma rischia di arenarsi se non verranno approvati nei tempi previsti. Dentro c’è tutto ciò che ci dovrebbe essere in una moderna offerta politica di un Paese del G8. Riduzione del digital divide, agevolazioni per estendere la fibra ottica, switch off della burocrazia analogica e, speriamo, suo alleggerimento con la transizione della Pubblica amministrazione al digitale. Start up. Un insieme di meccanismi che fino a poco tempo fa potevano apparire come interventi di nicchia ma che è ormai chiaro come siano la sesta marcia per ogni economia. A mancare all’appello sarebbero già due provvedimenti che avrebbero dovuto avere il via libera dei ministeri competenti il 19 dicembre scorso (la legge è stata varata il 20) e che riguardano gli incentivi alle start up e l’indice nazionale degli indirizzi Pec. Solo relativamente agli incubatori di start up il Mise ha avviato un’indagine ricognitiva, che terminerà il 15 gennaio, per definire i requisiti oggetto del decreto da emanarsi entro il 17 febbraio prossimo. Per rendere reale l’intero progetto «ci sono 32 provvedimenti da prendere subito e il governo Monti, nelle sue funzioni attuali, ha meno di tre mesi per procedere» ha lanciato l’allarme ieri il presidente di Confindustria digitale, Stefano Parisi. «Anche l’Agenzia digitale guidata da Agostino Ragosa è in marcia. Abbiamo avuto con lui un incontro il 20 dicembre scorso — ha concluso Parisi — e ci sono tutte le condizioni perché l’Agenda digitale italiana possa diventare una realtà». I tempi, seppure stringati, ci sono. E la volontà, non c’è da dubitarne, anche: il ministro Corrado Passera ha già promesso pubblicamente che non se ne sarebbe andato senza aver messo il punto. Ora si acceleri.