Bloccati i contratti a progetto: secondo i consulenti del lavoro lo stop riguarda il 93% delle piccole aziende
to dipendente e per questo viene cancellato dalla riforma. «L’accordo Golden Lady — dice Giorgio Santini, segretario aggiunto della Cisl — è un modello positivo anche se aspettiamo che dalle parole si passi ai fatti». Comunque il caso ha attirato l’attenzione del ministro Fornero che a settembre incontrerà il management dell’azienda. Un riconoscimento, forse. E anche l’occasione per capire come stimolare l’imitazione.
In realtà qualche altro piccolo segnale positivo c’è, ma siamo nel campo degli effetti collaterali. Ai primi di agosto il Credito valtellinese ha chiuso un accordo di ristrutturazione che prevede sì 150 esuberi ma anche l’assunzione definitiva di un centinaio di precari. Poco prima le Poste hanno firmato un accordo per stabilizzare più di 4 mila precari che avevano già fatto causa all’azienda con buone probabilità di vittoria. Dalla riforma insomma è arrivata la spinta finale, ma sono passi che avrebbero fatto comunque. Per avere un quadro completo bisogna aspettare ancora. E per il momento occorre accontentarsi delle previsioni.
«Alla fine — dice Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil — quello a termine resterà il contratto prevalente. Magari accelerando il turnover dei precari: non rinnovo il contatto a chi è dentro ma prendo un’altra persona e ricomincio da capo». Non è una sorpresa visto le critiche che arrivarono nei giorni dell’approvazione, ma anche in Confindustria si dicono scettici. Specie sul reale decollo dell’apprendistato. Anche se molto conveniente per le agevolazioni sui contributi — sostengono gli industriali — quel tipo di contratto sarà usato poco. E questo perché non in tutte le zone di Italia e non per tutte le figure professionali viene garantita quella formazione in aula a carico del settore pubblico che dovrebbe completare la formazione sul campo. In passato è successo spesso che al termine del contratto l’Inps chiedesse alle aziende i maggiori contributi proprio perché la formazione in aula non era stata fatta. Gli imprenditori dicono che anche dopo la riforma rischiano di pagare per colpe non loro.
Di questi e di tutti i problemi della riforma si occuperà quell’attività di monitoraggio prevista dalla stessa legge e che il governo ha inserito tra le «azioni in programma» nell’agenda per la crescita, discussa due giorni fa. Ci vorranno mesi per misurare il reale impatto delle nuove norme sull’economia italiana, per capire se l’occupazione è cresciuta oppure no, vedere se ci sono dei punti da correggere. E stavolta si seguirà davvero il modello tedesco. A raccogliere i dati, elaborarli e analizzarli non sarà il ministero del Welfare ma una serie di centri studi e di ricerche, organi terzi insomma, proprio come hanno fatto in Germania dopo la loro riforma di dieci anni fa.
Il ministro Fornero ne ha già parlato con la sua collega di Berlino, Ursula von der Leyen, all’inizio di luglio e le procedure saranno definite nelle prossime settimane. Nel frattempo c’è già chi segnala i primi punti da correggere. L’ex ministro Cesare Damiano (Pd) si sofferma sui voucher, il lavoro a chiamata, che possono essere utilizzati anche per chi è in cassa integrazione: «Una buona idea per aiutare chi è in difficoltà ma, come ha denunciato la Coldiretti di Cuneo, non si capisce perché sia applicabile solo dall’anno prossimo».
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