Orgoglio & pregiudizio
«Sono uno dei pochi italiani che all’estero ci invidiano: vorrei critiche più giuste Nel futuro? Forse la politica»
sente TORINO a essere — a Gigi tutti Buffon, gli effetti come il capi- si tano lia? della squadra campione d’Ita
maturo, «Orgoglioso. non dico E vecchio purtroppo perché anche non mi vecchio. piace, E e poi perché capitano non mi lo sono considero stato anche L’anno lo scorso scorso anno». però c’era anche un Capitano con la C maiuscola.
«Vero. Ma per me in fondo cambia poco. Conta essere importanti in campo e nello spogliatoio, con o senza fascia al braccio».
Premessa necessaria: in questa intervista parlerà come Gigi Buffon «quello che dice le cose che pensa» o come Gigi Buffon il diplomatico?
«Come quello che dice le cose che pensa, perché?».
Perché dopo le sue ultime uscite verbali, e le successive polemiche, aveva dichiarato: «D’ora in avanti dirò solo quello che volete sentirvi dire, così mi evito guai».
«Credo di dire cose che hanno una loro logicità. Poi chiaro che, in certi momenti, sarebbe meglio non esporsi e stare zitti. Ma continuo a pensare che in certi momenti sia giusto prendersi certe responsabilità e dire quello che si pensa. Siamo ancora in democrazia, giusto?».
Giusto. Come si è sentito quando è stato attaccato per le sue dichiarazioni?
«Me la sono presa parecchio perché, al di là di quello che uno può dire, ci sono i fatti che parlano. E i fatti dicono che Buffon è portiere in serie A da 17 anni, della nazionale da 16, titolare azzurro da 14, e penso senza presunzione di essere uno dei pochi giocatori italiani che gli altri invidiano. E questo dovrebbe far sì che la critica nei miei confronti sia non dico più clemente, ma di sicuro più giusta».
E non lo è stata?
«Secondo me no, ma questo è il mio punto di vista».
Ripensandoci, l’uscita sulla giustizia spettacolo la rifarebbe?
«Quando dissi quelle cose a Coverciano mi riferivo soprattutto a chi scrive, perché sono state dette e fatte cose inaccettabili. Questo mi ha scandalizzato. Mi sono sentito attaccato scorrettamente».
Il giorno dopo è uscita la notizia delle grosse cifre che lei avrebbe speso a Parma, e quell’inchiesta non se l’erano inventata i giornalisti.
«Era una notizia datata 2010, bastava andarsela a leggere per scoprire che era vecchia di due anni. Ma questo non interessava a nessuno. Ed è vergognoso che questa notizia si sia mescolata con ben altre indagini».
Si è chiesto come mai la notizia è uscita il giorno dopo quella conferenza stampa?
«Sono in questo mondo da tanto tempo: non mi ha fatto piacere, ma potevo anche metterla in preventivo».
Come è finita la vicenda?
«Non sono mai stato nemmeno indagato. È stato puro gossip».
Lei non si fa mancare mai niente. Persino dopo la visita della nazionale ad Auschwitz si è tornati a parlare della sua maglia n. 88...
«Già. Di una cosa accaduta ancora a Parma. E nel 2000. Ricapitoliamo: venivo da un infortunio, così avevo scelto l’88 perché aveva quattro palle. Una ragazzata. 12 anni dopo, ad Auschwitz ho avuto la fortuna di incontrare Vittorio Pavoncello, il presidente della comunità ebraica in Italia, che in quel periodo mi attaccò in modo importante. E, aggiungerei io, immotivato. Però mi ha fatto piacere che mi sia venuto incontro, si sia presentato e mi abbia chiesto se potevamo fare pace».
Ripensa ancora alle polemiche sul gol di Muntari?
«Ora vi dico io come sono andate le cose. Punto primo: mi hanno rotto le scatole per dichiarazioni che erano banali ma che in quel momento, evidentemente, faceva piacere attaccare. Si è parlato più di quello che di un gesto tecnico, la doppia parata, che non si vede spesso sui campi di calcio. Punto secondo: mi spiace che qualcuno si sia permesso di scrivere che non dovevo essere convocato in nazionale per quelle frasi, anche se avevo detto in modo chiaro che io in campo non mi ero accorto che il pallone fosse entrato. Punto terzo: è sbagliato dire che lì il Milan ha perso il campionato, perché dopo quella partita noi ci siamo trovati due volte a rischiare di avere 7 punti di svantaggio».
Messaggio ricevuto. Oggi comincia il campionato...
«...e io dovrò stare a riposo. Niente
di grave, un problemino al ginocchio, ma meglio non sforzarlo per evitare guai peggiori».
Farà compagnia a Conte in tribuna. La Juve parte favorita?
«Quando una squadra vince, è normale che l’anno dopo abbia anche questa responsabilità».
In più, le avversarie non danno l’idea di essersi rinforzate...
«Può essere vero, ma non è un buon motivo per farci diventare presuntuosi o credere di essere imbattibili. Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo e che per fare quello che abbiamo fatto lo scorso anno, un’impresa epocale, abbiamo dovuto affrontare ogni partita come se fosse una finale. E l’anno successivo è sempre difficile ritrovare le stesse motivazioni».
Dopo lo scudetto lei dichiarò che Conte era stato l’arma in più. «Confermo». E ora che Conte non potrà sedere in panchina per 10 mesi, che cosa cambia per la Juve?
«Il lavoro più difficile e più importante che ha fatto l’allenatore è stato quello dell’anno scorso. Ha rinvigorito psicologicamente una squadra che non credeva più ai propri mezzi, ha ricreato una cultura del lavoro che col
tempo si era un po’ affievolita, ci ha ridato una carica agonistica e una voglia di vincere che pochi allenatori sanno dare. La sua vera vittoria è stata quella di ridare consapevolezza alla squadra. E semmai dovesse essere squalificato, credo che il mister il lavoro più importante l’abbia già svolto e mi auguro che si possa fidare dello spessore dei singoli e della squadra come Quindi gruppo». lei non vede un’alternativa a Conte? «Sinceramente no. E comunque non manda, posso altrimenti rispondere sarei a il questa presidente dodella Quello Juventus». che comincia è un campionato «È con un campionato meno stelle. che sta scegliendo una strada alternativa, che può essere più economica, e magari meno attraente dal punto di vista tecnico, ma che è sicuramente più intelligente e lungimirante, perché alla fine dà la possibilità a molti ragazzi di poter dimostrare il proprio valore. Per la nazionale è una situazione favorevole».
Cosa farete in Champions?
«Cercheremo di essere il più competitivi possibile. Poi una cosa è certa: a qualsiasi competizione io partecipi, se mi dicessero di firmare per il secondo posto io non firmerei».
Nel 2001 la Juventus la acquistò per 105 miliardi di lire, circa 50 milioni di euro. Vedendo il mercato attuale, non pensa sia stata una cifra folle?
«Pensandoci bene, mi hanno pagato ancora poco. Ho 34 anni e sono sempre qui, nel periodo migliore della mia carriera. Però, battute a parte, in quel periodo esisteva una specie di doping economico. Le cose sono un po’ cambiate».
I calciatori, questi privilegiati, hanno la percezione della crisi economica?
«La percezione c’è. Però, e qui parlo per me, credo che la crisi più grave sia la crisi d’idee, nessuno vuole più impegnarsi per dare una svolta alla propria vita ma subisce passivamente, con rassegnazione, quello che accade. Questo mi dispiace».
Linguaggio da politico. Se domani le chiedessero di candidarsi, lei che farebbe?
«Perché no? Se tutti ci tiriamo indietro, allora siamo tutti colpevoli, me compreso».
Per quale partito?
«Per uno che abbia delle idee».
Buona fortuna allora. Quindi Buffon candidato?
«Per il momento candidato a vincere campionato e Champions. Per il resto, vedremo».