«PRIMA LE COLTELLATE A MIA SORELLA, POI CERCÒ DI UCCIDERE ANCHE ME»
Deborha Sartori non lasciava mai sola Marisa, perseguitata dal marito con il quale stava per firmare la separazione. Fino a quella sera: «Lui ci aspettava in garage, prima ha assalito lei. L’ho sentita gridare e sono scesa
dalla macchina. Arjoun mi ha colpito tre volte, sono viva per caso»
’infila un paio di guanti blu, di quelli senza dita, e così le punte delle mani restano arrossate dal freddo. Deborha Sartori è una che ti viene incontro sorridendo, a testa alta, che non si fa tanti problemi a dire come stanno le cose, anche quando la verità non è delle più comode e magari c’è da parlare di sbagli, di difficoltà economiche, di un’adolescenza non esattamente perfetta, spesso al fianco di quelli da cui le “brave” ragazze si tenevano lontane: «Ai tunisini portavamo cibo e coperte, insegnavamo noi l’italiano, ci piaceva». Giocherella con un cane che non va per niente d’accordo coi suoi quattro. Tiene un sacco, ai suoi cani. Il 29 dicembre ha compiuto 26 anni e ora è più grande della sua Mari, la sorella maggiore che
Sfino all’ultimo ha tentato di proteggere e che invece le hanno ucciso davanti agli occhi. Ne culla la fotografia seduta sullo schienale di una panchina che ha tinteggiato di rosso subito dopo il delitto, quando è uscita dall’ospedale, perché anche lei, quella sera, ha rischiato di morire.
LE BOTTE
Il 2 febbraio 2019, poco dopo le 19, alla caserma di Curno, nell’hinterland di Bergamo, i carabinieri hanno trovato alla porta un uomo con le mani insanguinate. Era Ezzedine Arjoun, tunisino che da allora non ha più lasciato il carcere. Oggi ha 38 anni e a Opera sta scontando l’ergastolo dopo che la Cassazione ha reso definitiva la condanna per l’omicidio della moglie 25enne Marisa Sartori, anche maltrattata e in un caso obbligata con un coltello a subire un rapporto sessuale, e per il tentato omicidio di Deborha, sua cognata. Tese a entrambe un agguato nei garage della casa dei loro genitori, dove Marisa si era trasferita, stanca di sentirsi vessata e di mantenere un uomo che, tra alcol e cocaina, perdeva ogni lavoro che lei gli rimediava. Si erano sposati in Tunisia quando la ragazza aveva solo 19 anni. Due settimane prima della fine, avrebbero dovuto firmare la separazione.
Marisa è crollata dopo 7 coltellate. Deborha, che era andata a prenderla al lavoro per non lasciarla sola, è stata salvata in ospedale. Nella sentenza d’Appello, colpisce il passaggio in cui i giudici spiegano perché, dal loro punto di vista, sussista l’aggravante dei futili motivi (è stata riconosciuta anche la premeditazione). La ragione «che indusse l’imputato a sopprimere, in quel modo così feroce, la moglie deve considerarsi
«PORTAVAMO CIBO E COPERTE AI TUNISINI, GLI INSEGNAVAMO L’ITALIANO, CI PIACEVA. POI MARISA HA DECISO DI SPOSARSI»