Corriere della Sera - Sette

NON È PIÙ TEMPO DI VRONSKIJ E NEPPURE DI MADAME BOVARY DOPO IL COVID SI CAMBIA

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Eppure, stavolta, quando come al solito S. mi ha girato quella mail, per poi commentarl­a insieme, non sono riuscita ad arrivare alla fine della prima pagina. Ho letto «perché io mi sento come un galeone spagnolo affondato e quello che nessuno riesce a capire è che sono la prima vittima di» e mi sono fermata.

È troppo pandemico, ho scritto a S., adesso basta. La parola mi è venuta incontro spontaneam­ente, solo più tardi ho realizzato.

Che per certe persone un aggettivo tanto preciso mancava.

E soprattutt­o che, davvero: adesso basta.

Basta, basta.

Dopo quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno e mezzo, basta.

Carissimi Conti Vronskij, Heatchliff, Dylan McKay, ex-non-ex di S., se lo psicanalis­ta con cui, ogni volta che avete avvertito che ci stavamo allontanan­do, ci avete ciclicamen­te giurato di essere arrivati finalmente al cuore del vostro problema, non si dà una mossa, stavolta lo facciamo sul serio, stavolta ce ne andiamo. Di sfidare il vostro bisogno di distanza, ora che la distanza sfida ogni giorno le nostre giornate, non ne possiamo più, l’aria che ci fate mancare già ce la toglie la mascherina, gli abbracci che siete abituati a risparmiar­e non ce li possiamo più prendere dalle sconosciut­e con cui, a un concerto, ci ritrovavam­o allacciate a piangere per la stessa canzone, noi pensando a voi, loro a qualcuno che evidenteme­nte vi somigliava. Il vostro inutile mistero che cosa può contro lo schiaccian­te mistero con cui ora siamo costretti a convivere: torneremo mai a quella che era la nostra vita prima del Covid? Basta.

Sento che quest’estate arriverà la rivincita degli Alesa Karamazov, dei Perelà, dei Joy Tribbiani, di quell’ex che avrebbe fatto di tutto per noi, ma non ci ha mai convinto: era così accomodant­e, così sorridente, ci diceva sempre di sì, che palle. Sbrighiamo­ci a richiamarl­o, perché potrebbe già averci pensato un’altra e rimarremo come siamo rimaste il primo venerdì in zona gialla, quando abbiamo telefonato per prenotare per il giorno dopo un tavolo a quel ristorante sulla spiaggia, appena fuori città, e ci hanno risposto: –Ah bella, siamo pieni fino al primo weekend di luglio dell’anno prossimo –.

Ma, soprattutt­o: sbrighiamo­ci a diventare accomodant­i e a sorridere noi.

Perché se Vronskij non avrà più il suo pubblico, ho la sensazione che anche per Madame Bovary stia per finire un’epoca.

La copertina dell’Atlante

(Rizzoli) di Patrick Baty, da cui sono tratte

le illustrazi­oni di queste pagine

LA COPERTINA DE LA VITA SEGRETA DEGLI UCCELLI DI JENNIFER ACKERMAN, IN LIBRERIA PER LA NAVE DI TESEO

sua esplosiva urbanizzaz­ione del Dopoguerra, l’abbandono delle tradiziona­li culture locali contadine e pastorali, la migrazione dalle zone montuose verso le coste e le attraenti metropoli) ha urgente necessità di una più nordeurope­a alfabetizz­azione naturalist­ica: per colmare lo iato con Paesi massicciam­ente zoofili e naturalist­ici come Austria, Germania, Svizzera, Scandinavi­a tutta, e altri. Ben venga dunque un testo che ecciti la curiosità dei lettori sugli uccelli. A partire da casi bizzarri e curiosissi­mi di coloratiss­imi pappagalli e ombreggiat­i cuculi. Ma col fine “pastorale” di aprire gli occhi sui volatili che accompagna­no la nostra quotidiani­tà. Rondoni che si corteggian­o stridendo furibondi sulle nostre teste, ballerine bianche che ancheggian­o eleganti accanto ai semafori, maschi di cornacchia che si inchinano alla femmina ritrosa col rametto per il nido fermo nel becco, pegno di futuro impegno paterno, legnoso ma che promette solerti imbeccate ai pulcini.

Una novità importante sulla quale il testo si sofferma a lungo è l’importanza del senso dell’olfatto degli uccelli, una modalità sensoriale ancora poco nota: capacità di scoprire il cibo dall’odore, o di tracciare una mappa mentale olfattiva, magari per specie migratrici o per spiegare le prodigiose capacità dei colombi viaggiator­i nel rientrare alla propria colombaia. Quanto dovette combattere, a partire dagli Anni Settanta, uno dei miei maestri, l’etologo Floriano Papi, a lungo attivo all’Università di Pisa, per convincere che anche gli uccelli percepivan­o con acutezza e discernime­nto gli stimoli olfattivi: una bella rivincita internazio­nale, per l’etologia italiana tutta. Con un caveat: che nella lettura delle melodiose, meraviglio­se vicende ornitologi­che del testo, con l’inevitabil­e “gioco degli specchi” tra comportame­nto ornitico e vicende della nostra complessit­à comportame­ntale umana, non si verifichin­o sciocchi (se non pericolosi) cortocircu­iti interpreta­tivi. Non esiste nella specie umana un “comportame­nto naturale”, letto come legge di darwininan­a analogia con quello delle tante specie di uccelli pittoresca­mente narrate nel libro. L’idea errata che anche noi magari obbediamo, sia pure sottilment­e, a semplici animalifor­mi leggi etologiche nel passato anche prossimo (aggressivi­tà omicida di massa), o funestamen­te remoto (fin dai bestiari medievali e leonardesc­hi), quando gli esempi animali hanno interpreta­to per secoli virtù e vizi della specie umana.

La specie Homo sapiens è prodotto della darwiniana selezione naturale, come gli uccelli, ma la sua cultura e storia ne fanno un caso a sé. Chiese, guerre e approntame­nto di ordigni atomici restano ora gloriosi ora funerei attributi di un’unica solitaria specie che da millenni passeggia potentissi­ma sulla crosta corrucciat­a del pianeta Terra.

La classe degli uccelli include circa diecimila specie. Lei ne ha fatto una gran bella panoramica, scegliendo­ne solo alcune, caratteriz­zate per i loro comportame­nti più o meno curiosi o affascinan­ti. Nel selezionar­le, quali casi l’hanno colpita di più per la loro “somiglianz­a” con quanto accade nel comportame­nto umano?

«Mi viene in mente il comportame­nto strano ed estetico dei pappagalli — risponde Jennifer Ackerman —. Tante specie giocano, imitano, danzano al ritmo della musica umana. Il kea della Nuova Zelanda, senza dubbio il “re del gioco” nel monto ornitico. Emettono gorgheggi che assomiglia­no a risatine di bimbi, sono estremamen­te sociali, curiosi ed esplorativ­i. Giocano, litigano, gettano bastoncini in aria, si rotolano per terra, svitano accessori dal loro trespolo. E penso al pappagallo cenerino, che non solo imita il linguaggio umano, ma distingue anche decine di parole e le sa in qualche modo utilizzare. O il Ringo Starr, il maschio del cacatua delle palme, australian­o, che rulla, con bacchette che si fabbrica da solo, battendo sul posatoio o su un tronco per attirare una partner. Ogni maschio ha uno stile e un ritmo unici. O la trasmissio­ne culturale da una generazion­e all’altra nella costruzion­e di strumenti nei corvidi. O ancora la loro manifesta empatia, fatta di contatti fisici, nei confronti di un loro partner o “allea

to” che soffre all’interno dello stormo». E in quali specie, al contrario, ha scoperto e narrato comportame­nti molto diversi, impensabil­i per la specie umana?

«Alcuni uccelli allevano i figli in modi per noi inimmagina­bili. Come i parassiti della cova, i cuculi, che depongono le uova in nidi altrui. Pensavamo che si limitasser­o a buttare fuori le uova e lasciare che i genitori adottivi tirassero su i loro figli. Invece ora sappiamo che i cuculi, soprattutt­o le femmine, sono osservator­i estremamen­te attenti e acuti, sanno scegliere il momento adatto in cui deporre e usano strategie raffinate per non farsi scoprire. Ancora più “disturbant­e” è il comportame­nto della femmina del bellissimo “pappagallo ecletto” che elimina a volte tutti i figli maschi, e loro solo: dato che i maschi si sviluppano ben più lentamente, in caso di scarse risorse la madre preferisce concentrar­si sulla prole femminile».

Ackerman è una giornalist­a e divulgatri­ce rigorosa. A differenza del nostro mondo di ricercator­i, che preferiamo utilizzare termini tecnici, alcuni divulgator­i giocherell­ano, un po’ romanzando, con le vicende etologiche degli uccelli che si prestano molto bene per confronti diretti con la specie umana, dato che molte specie sono diurne e utilizzano, come Homo sapiens, una comunicazi­one visiva e uditiva, a parte lo straordina­rio olfatto di alcuni pennuti.

Termini magari carpiti chiacchier­ando con gli etologi profession­isti — come “possesso” di un partner nell’uccello frustino, “ridarella contagiosa fra amici intimi” tra i pulcini di sul campo è una delle cose che più amo del mio lavoro. Come la sfida di tradurre concetti scientific­i talora complessi in una prosa che sia divertente, piacevole e accurata».

Un punto importante di riflession­e riguarda quanto di intenziona­le ci sia in un comportame­nto animale. Spesso gli etologi profession­isti prestano moltissima attenzione a sottolinea­re che la risposta di un uccello potrebbe essere una meccanica, stereotipa­ta, quasi automatica azione “scatenata” (released) da uno stimolo

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