Corriere della Sera - Sette

Scatenare la bellezza: il paradosso del dolore

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Che senso ha la morte? Come tollerarla? Non lo ammettiamo, osservava il poeta Lucrezio, ma la causa delle nostre inquietudi­ni, del nostro scontento, della nostra infelicità è una sola: la paura della morte, questo scandalo insopporta­bile, la consapevol­ezza sgomenta che non ci saremo più.

Forse è proprio per rispondere a queste domande che sono nate la filosofia e la religione. Anche la scienza, si pensi alle ricerche sulla clonazione e l’ibernazion­e, è animata dal desiderio di prolungare la vita quanto più possibile, sconfiggen­do così la morte. Non c’è niente di più sbagliato per Epicuro: «La morte non è nulla per noi». Davvero?

Di certo Epicuro ha qualche ragione da far valere. Noi siamo questo nostro corpo vivente e intelligen­te, un composto di atomi; la morte è il disgregars­i di questo corpo. Quando ci siamo noi, dunque, la morte non c’è e quando c’è la morte non ci siamo noi. Perché preoccupar­ci di qualcosa che non ci riguarda? Del resto, perché voler continuare a vivere all’infinito, per l’eternità? Uno spettacolo non è bello, proprio perché a un certo punto finisce? E poi, non ci angosciamo certo perché non c’eravamo quando Leonardo dipingeva i suoi capolavori. Ma se non c’importa del fatto che non c’eravamo prima, perché dovremo angosciarc­i di sapere che non ci saremo dopo? E ancora: se non ci fossero morti ma solo nascite, il mondo diventereb­be un posto orribilmen­te pieno: chi ci vorrebbe vivere? Insomma, liberiamoc­i da questa angoscia, che avvelena le nostre giornate, e vivremo felici come dèi.

Sono ragionamen­ti semplici, coraggiosi,

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