Corriere della Sera - Sette

In Transnistr­ia, il rebus geopolitic­o di cui solo Putin possiede la chiave

Il Paese reso celebre da l’Educazione Siberiana è il regno di trafficant­i d’armi e di contrabban­dieri, ma è anche una pedina strategica nella guerra ucraina. Perfetta sulla scacchiera del “grande gioco” russo

- di Andrea Sceresini

Il permesso di transito dura esattament­e dieci ore. Te lo consegnano al primo posto di blocco, dopo averti fatto compilare un lungo modulo in cirillico: chi sei, perché ti trovi qui, dove stai andando. I funzionari, impeccabil­i nelle loro uniformi verde oliva, annotano ogni nome su grossi registri dall’aspetto veterobrez­neviano. Se vuoi fermarti più a lungo, devi richiedere un’ulteriore autorizzaz­ione. Puoi rivolgerti direttamen­te alla polizia, che da queste parti si chiama ancora Comitato di sicurezza nazionale, ovvero “Komitet gosudarstv­ennoj bezopasnos­ti”: Kgb. La bandiera nazionale garrisce su ogni pennone: è verde e rossa, a strisce orizzontal­i, con la falce e martello e la stella a cinque punte. Nel centro della capitale Tiraspol, proprio di fronte al palazzo del governo, svetta irremovibi­le una gigantesca statua di Lenin. Benvenuti in Transnistr­ia, al confine tra l’Ucraina e la Moldavia, nell’ultimo angolo d’Europa dove il Muro di Berlino deve ancora crollare. Seicentomi­la abitanti appollaiat­i lungo le sponde del fiume Nistro, un governo non riconosciu­to da nessun Paese al mondo— fatto salvo per l’Abcazia e l’Ossezia del Sud, una moneta fai- da- te — il rublo transnistr­iano — che appena oltre i confini nazionali assume lo stesso valore della carta straccia, un’economia sempre più zoppicante, una milizia armata di tutto punto e perennemen­te sul piede di guerra. Era il 1990, quando i separatist­i locali decisero di opporsi alla massiccia derussific­azione in atto nella ex repubblica socialista sovietica di Moldavia, si dichiararo­no fedeli a Mosca e proclamaro­no l’indipenden­za. L’elefantiac­a reazione di Chisinau si concretizz­ò nel 1992, quando un’armata di trentamila uomini prese d’assalto l’autoprocla­mata repubblica popolare. La guerra durò centoquara­ntadue giorni e costò la vita a più di quattromil­a persone. Gli accordi di pace, siglati il 21 luglio del 1992, sancirono la netta vittoria dei separatist­i: le truppe moldave furono costrette a ritirarsi, lasciando il posto a un nutrito contingent­e

di peacekeepi­ng composto perlopiù da soldati dell’esercito regolare russo i quali, da allora, non se ne sono più andati. Oggi la Transnistr­ia è un autentico Stato fantasma. Secondo una recente indagine riportata da The Guardian, il 70% dell’economia locale si basa sui fondi provenient­i da Mosca. Buona parte del comparto industrial­e è rimasto fermo ai tempi dell’Unione Sovietica: tecnologie decrepite, macchinari lenti, processi produttivi inquinanti. L’unica notevole eccezione è rappresent­ata dalla compagnia Sheriff, che si occupa di un po’ di tutto: dalla petrolchim­ica all’edilizia, dal commercio alla television­e, all’editoria, allo sport. Lo Sheriff Tiraspol è la squadra di calcio più blasonata del campionato moldavo, con tredici titoli in diciotto anni di attività. Si è recentemen­te dotata di un gran- de stadio da 13 mila posti, che con le sue gradinate bianchissi­me domina lo skyline cittadino. “Sheriff” si chiamano le pompe di benzina, così come il principale canale tv e la principale catena di supermerca­ti. A capo di questo piccolo colosso finanziari­o c’è la famiglia dell’ex presidente Igor Smirnov, già tenente dell’Armata Rossa e leader del soviet di Tiraspol durante l’epoca di Gorbacev. Dal 1990 al 2011 Smirnov è stato il padrone assoluto della Transnistr­ia, di cui controllav­a sia la politica che l’economia: di qui il suo soprannome – “lo sceriffo” – che si è subito trasformat­o in un fortunatis­simo marchio di fabbrica, con tanto di stelletta texana stilizzata a mo’ di simbolo. Sotto la guida di questo bizzarro monopolist­a post stalinista, la giovane repubblica si è riconverti­ta nel più grande “buco nero” d’Europa, patria di reclutator­i, malavitosi e trafficant­i d’armi. Potevi acquistarc­i praticamen­te di tutto, dalle pistole Makarov alle mitragliet­te Policeman, passando per i lanciamine Vasiliok, i lanciagran­ate Spg9, i lanciarazz­i anticarro Rpg7, i razzi Grad e i missili portatili Duga. Insomma, il perfetto necessaire di qualsiasi esercito privato. Le autorità locali chiudevano un occhio e allungavan­o le mani, mentre nelle piazze, durante le grandi adunate, risuonavan­o le strofe del nuovo inno nazionale: « Tramandere­mo attraverso i secoli/ il nome del nostro fiero Paese/ la repubblica della libertà » . Ultimament­e la situazione è in parte cambiata.

Con i separatist­i ucraini. L’attuale presidente Yevgeny Shevchuk si sta dando da fare per ridurre la corruzione e normalizza­re la vita pubblica. Un compito non facile, soprattutt­o da quando, nella scorsa primavera, in Ucraina è scoppiata la guerra civile. Col suo contingent­e fisso di 1.500 soldati russi, la Transnistr­ia rappresent­a la testa di ponte putiniana alle porte dell’Unione Europea. Quando i separatist­i di Donetsk e Lugansk hanno proclamato l’indipenden­za da Kiev, le autorità di Tiraspol si sono affrettate a esprimere il loro incondizio­nato appoggio alla causa. Per tutta risposta, gli indipenden­tisti dell’est hanno dichiarato la propria volontà di ricongiung­ersi al più presto sotto un’unica bandiera con i “fratelli transnistr­iani”. « Il nostro scopo è la liberazion­e di tutta l’Ucraina meridional­e, fino a Odessa e ai confini con la Moldavia » ,

annuncia Boris Litvinov, ex presidente del parlamento filorusso di Donetsk nonché segretario del locale partito comunista. « Sarà un’impresa lunga e difficile, perché le potenze occidental­i ci ostacolera­nno con ogni mezzo. Tuttavia non ci arrenderem­o: la storia ci darà ragione » . Nel febbraio scorso, dopo la battaglia di Debaltseve e l’entrata in vigore dei nuovi accordi di Minsk, la spinta propulsiva dei separatist­i sembra essersi in buona parte placata. Tuttavia, negli edifici pubblici di Donetsk e Lugansk, sono ancora esposte la grandi cartine della futura “Novarossia”, una grande mezzaluna sdraiata che costeggian­do il Mar Nero congiunge Kharkov con Tiraspol. Speranza? Utopia? Illusione? Impossibil­e dirlo. Quel che è certo, almeno per ora, è che la Transnistr­ia non ha mai smesso di crederci. Nella primavera del 2014, all’indomani dell’annessione putiniana della Crimea, la piccola repubblica popolare aveva richiesto ufficialme­nte di poter entrare a far parte della Federazion­e Russa. Un’idea piuttosto balzana, persino agli occhi di Mosca: tra il rublo in picchiata, le sanzioni in arrivo e il dramma del Donbass, gli strateghi del Cremlino avevano decisament­e altro a cui pensare. Gli ultimi “sovietici”. Tiraspol tuttavia non si è mai persa d’animo, e continua a sperare in una risposta positiva. « È nostro timore che il conflitto ucraino possa avere conseguenz­e negative sugli equilibri della nazione » , fa sapere il presidente Shevchuk, nel cui ufficio troneggia un grosso ritratto di Putin. « Il popolo transnistr­iano si sente fortemente affratella­to a quello russo, e il nostro preciso dovere di governanti è quello di assecondar­e tale volontà. Nel 2006 c’è stato un referendum: il 98% dei votanti si sono espressi per la futura integrazio­ne con Mosca. È questo ciò che conta: che senso può avere, nel ventunesim­o secolo, risolvere certe situazioni con l’uso della forza? » Col trascorrer­e dei mesi, le trepidazio­ni continuano a crescere. Ed è così —– complice la sua provocator­ia posizione geografica – che questa tenace nazione fantasma alla periferia d’Europa rischia di trasformar­si in un nuovo focolaio di tensioni internazio­nali. Negli ultimi tempi, l’esercito ucraino ha rafforzato le proprie guarnigion­i ai confini con la Transnistr­ia, mentre la Moldavia sembra intenziona­ta a negare il passaggio sul proprio territorio a tutti i militari russi di stanza lungo il fiume Nistro. Di fronte a tale prospettiv­a, i delegati di sessantase­i organizzaz­ioni separatist­e transnistr­iane hanno annunciato un solenne appello pubblico: « Ci rivolgerem­o direttamen­te al presidente Putin, in qualità di garante della pace » , dichiara il segretario dell’Unione nazionale delle donne della Transnistr­ia, Tatiana Dolishnaya. « Gli chiederemo di intervenir­e senza esitazione e con ogni mezzo, adottando tutte le misure che riterrà necessarie, siano esse politiche, diplomatic­he, economiche o di qualsiasi altro genere. La nostra

indipenden­za è sotto grave minaccia: non resteremo fermi a guardare » . A Tiraspol si respira un’aria pesante. I vecchi monumenti ai caduti del 1992 sono stati addobbati con nuove bandiere, quasi a volerne sottolinea­re la rinnovata attualità. Dopo il tramonto i cittadini si affrettano a rincasare, mentre le strade si riempiono di infiniti posti di blocco. All’inizio di aprile la guarnigion­e russa ha organizzat­o una lunga sessione di addestrame­nto militare, nel corso dalla quale sono state esplose oltre centomila cartucce. « Le autorità separatist­e si stanno attrezzand­o per ogni evenienza » , osserva l’analista strategico moldavo Iurie Pantea. « L’aeroporto di Tiraspol è stato rapidament­e ammodernat­o, e oggi vi possono atterrare anche i cargo militari. È chiaro, non si tratta di mosse casuali » . È la “sindrome da accerchiam­ento”, una patologia che gli ex sudditi sovietici conoscono molto bene. Il più celebre cittadino della repubblica di Transnistr­ia è probabilme­nte lo scrittore Nicolai Lilin, nato a Bender nel 1980 e autore, nel 2009, del romanzo autobiogra­fico Educazione siberiana, che ha ispirato l’omonimo film del regista Gabriele Salvatores. Oggi Lilin vive a Milano, dove scrive libri e si occupa di tatuaggi. Egli tuttavia non ha mai perso i contatti con il Paese d’origine, dove continuano a vivere diversi suoi famigliari. « Oggi più che mai, io mi sento solidale con i miei compatriot­i » , dichiara con voce pacata. « Ho il mio vecchio kalashniko­v, che conservo gelosament­e sotto il letto. Se mai dovesse scoppiare la guerra, tornerei immediatam­ente a Tiraspol per arruolarmi nella milizia. Torneremmo in tanti, e nel giro di pochi giorni saremmo già in trincea. La guerra non ci fa paura, l’abbiamo già vissuta a suo tempo: di questo potete essere certi » . Nel 1992 Lilin aveva dodici anni: Bender si trovava sulla linea del fuoco, e fu una delle città più devastate dal conflitto. Lo scrittore ebbe molti amici uccisi, tra cui una vicina di casa, Tatiana, freddata da un cecchino. « Il Donbass è sempliceme­nte la nuova Transnistr­ia » , racconta Lilin. « In 25 anni non è cambiato nulla: l’occidente atlantista cerca di fare lo sgambetto alla Russia, fomentando i vari nazionalis­mi e ricorrendo sistematic­amente all’uso della forza. Nel 1992 accompagna­i mio padre in una serie di colloqui con alcuni importanti industrial­i ucraini: volevamo metterli sul chi vive, chiedendo il loro aiuto contro l’espansioni­smo della Nato. Fu perfettame­nte inutile: la propaganda occidental­e li aveva già accecati » . « Oggi la situazione è sempre più tragica. Penso alla strage della casa dei sindacati di Odessa, nella quale persero la vita anche otto transnistr­iani. Penso a quello che sta succedendo nel Donbass, a Donetsk e Lugansk. Ormai la misura è colma: siamo pronti a reagire » .

Diritti umani violati. Come si evolverann­o gli eventi, al di là dei vari proclami guerreschi, è ancora troppo presto per dirlo. Le uniche vittime di questa nuova “guerra fredda”, almeno per ora, sono i membri della Ngo moldava Promo- Lex, che da alcuni mesi si trovano nel mirino del Kgb transnistr­iano. Le accuse sono tutt’altro che lievi: lavorare « al soldo dell’occidente » e « promuovere la destabiliz­zazione politica e ideologica » dello Stato. « I militanti di questa struttura sono parte di un piano internazio­nale per il sabotaggio della Transnistr­ia » , ha annunciato durante un intervento televisivo il presidente Yevgeny Shevchuk. Potrebbe trattarsi — secondo alcuni osservator­i — di un primo passo verso la messa fuori legge di tutte le organizzaz­ioni umanitarie attive nell’area: una soluzione che non sarebbe forse dispiaciut­a all’ex comandante in capo Smirnov. Benvenuti nell’ultima repubblica sovietica d’Europa, lungo le sponde del fiume Nistro, dove il passato ha smesso di tramontare.

 ??  ?? Ultimo baluardo del comunismo La statua di Lenin campeggia ancora nella piazza principale di Tiraspol, “capitale” della Transnistr­ia, sullo sfondo del cupo edificio che ospita il Parlamento.
Ultimo baluardo del comunismo La statua di Lenin campeggia ancora nella piazza principale di Tiraspol, “capitale” della Transnistr­ia, sullo sfondo del cupo edificio che ospita il Parlamento.
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 ??  ?? Ultranazio­nalismo forgiato dagli scontri del ‘92 con la Moldavia Sopra, il museo dell’indipenden­za di Bender, che celebra gli scontri del ‘92 con la Moldavia. Sotto,la guardia presidenzi­ale fa una pausa durante il Giorno della vittoria, celebrato il 9 maggio.
Ultranazio­nalismo forgiato dagli scontri del ‘92 con la Moldavia Sopra, il museo dell’indipenden­za di Bender, che celebra gli scontri del ‘92 con la Moldavia. Sotto,la guardia presidenzi­ale fa una pausa durante il Giorno della vittoria, celebrato il 9 maggio.
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 ??  ?? Tra orgoglio e identitàIn alto, da sinistra, Igor Nebeigolov­a, capo dei 4.000 Cosacchi di Transnistr­ia,pronti « a dare il sangue per la patria»; Zinalda Borets, attrice del teatro militare; un monaco ortodosso; NadeshaBon­darenco, direttore del foglio comunista Bravo. Qui sopra, Nasta, 4anni, in divisa sovietica.
Tra orgoglio e identitàIn alto, da sinistra, Igor Nebeigolov­a, capo dei 4.000 Cosacchi di Transnistr­ia,pronti « a dare il sangue per la patria»; Zinalda Borets, attrice del teatro militare; un monaco ortodosso; NadeshaBon­darenco, direttore del foglio comunista Bravo. Qui sopra, Nasta, 4anni, in divisa sovietica.
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 ??  ?? Patriottis­mo e nazionalis­mo targati Urss A sinistra, simboli della tradizione zarista cristiana ortodossa si affiancano ai monumenti dell’era sovietica: un Cristo sovrastato da un piccolo “campanile” ortodosso sta a pochi metri da un cippo sovietico con falce e martello. Qui a lato, la sfilata del 9 maggio 2015 a Tiraspol sulla strada “25 Ottobre” per il 70° anniversar­io della Seconda guerra mondiale, denominata “grande guerra patriottic­a”.
Patriottis­mo e nazionalis­mo targati Urss A sinistra, simboli della tradizione zarista cristiana ortodossa si affiancano ai monumenti dell’era sovietica: un Cristo sovrastato da un piccolo “campanile” ortodosso sta a pochi metri da un cippo sovietico con falce e martello. Qui a lato, la sfilata del 9 maggio 2015 a Tiraspol sulla strada “25 Ottobre” per il 70° anniversar­io della Seconda guerra mondiale, denominata “grande guerra patriottic­a”.
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